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Van Gogh made in Cina, tra autoritratto e selfie

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Van Gogh made in Cina, tra autoritratto e selfie

“Ogni cosa che fai e che dici è un autoritratto”. Elencando al microfono una lista di azioni quotidiane assurte a opere d'arte, ripete questa frase il Van Gogh dell'attore e autore Simone Perinelli alternandosi nei panni del pittore olandese e in quelli di un cinese. Quest'ultimo è un venditore del Made in China, ovvero della riproduzione di massa dell'opera d'arte a fini commerciali e destinata alla deperibilità.

È un arredatore d'interni, che elargisce i consigli dell'antica arte cinese di Feng Shui di arredare in armonia con l'energia dell'universo. Ma detta anche le cinque regole del “selfie” perfetto, l'autoritratto del nostro tempo immortalato nello smartphone, l'autoscatto divenuto mania. Cosa c'entri Vincent con la Cina, due mondi distanti sia geograficamente che culturalmente, è presto detto: mettere a confronto, nel loro stridente contrasto di eternità e deteriorabilità, l'arte sublime e immortale del grande artista – che scriveva “Non soffocare la tua ispirazione e la tua immaginazione, non diventare lo schiavo del tuo modello” –, e quella kitsch ed effimera della riproducibilità. Nasce da questa idea lo spettacolo “Made in China. Postcards from Van Gogh” di Simone Perinelli in scena con Claudia Marsicano. Ed è subito visione teatrale: un rimando al mondo pittorico e alle pagine letterarie di Vincent sconfinanti nell'immaginario orientale di ieri, compreso il mondo ordinario di oggi, come i cinesi dei negozi, resi con l'ironia dell'imitazione parlata della “elle” al posto della “erre”, e con una divertente scenetta.

Sempre, però, nell'alveo di una scrittura poetica e surreale creata da un susseguirsi di quadri a sé stanti, di scene evocative. Dal roteare sempre più veloce di un ombrellino il cui colore giallo crea l'illusione ottica del girasole, alla pioggia di petali, alla tazza del the nella composta sequenza di un'interminabile roteare del cucchiaino, al canto di “O sole mio” in cinese, alla memoria del colore nel cervello descritto nella zona dell'ippocampo. Sulla scena bianca o disseminata di segni geometrici luminosi e con le postazioni di due microfoni e di una sedia, vive la presenza di Van Gogh: delle lettere al fratello Theo, e soprattutto quelle a Emile Bernard e alla sorella Wilhelmina; della profonda solitudine; della lucida pazzia che lo faceva lavorare giorno e notte nell'ospedale psichiatrico di Saint Remy dove, ricordiamolo, produsse 150 dipinti e 100 disegni; dell'orecchio bendato; dei corvi nel campo di grano.

È l'evocazione del pittore degli ultimi quadri - “La sedia vuota”, Autoritratto con orecchio bendato”, La notte stellata”, La camera di Vincent ad Arles” - nel periodo di maggiore agitazione psicotica. Sono queste ed altre le tracce gestuali disseminate in uno spettacolo denso suggestioni teatrali dove le parole, i suoni, gli oggetti, aprono a luoghi mentali e visivi, a spazi interiori, a cartoline dell'anima.

“Made in China. Postcards from Van Gogh”,
drammaturgia e regia Simone Perinelli, con Simone Perinelli e Claudia Marsicano, musiche originali di Massimiliano Setti, luci Marco Bagnai.
Produzione Fondazione Teatro della Toscana.
Al Teatro Era di Pontedera

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