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Dossier Tutti gli uomini del presidente…40 anni dopo

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Dossier | N. 36 articoliFesta del Cinema di Roma

Tutti gli uomini del presidente…40 anni dopo

La Festa del cinema di Roma apre i battenti all'insegna del “genere”. Del resto il neodirettore Antonio Monda lo aveva dichiarato espressamente: vedrete che ci sarà spazio per tutti i generi. E il film d'apertura, Truth, ne ha dato subito una conferma. L'opera prima di James Vanderbilt (tra gli sceneggiatori e i produttori di Zodiac diretto da David Fincher) s'inserisce a pieno titolo nel filone, molto battuto dal cinema d'oltreoceano, del journalism movie. Che vede in Tutti gli uomini del presidente il suo capolavoro assoluto e, passando per Diritto di cronaca, Good night good luck e Nightcrawler (lo Sciacallo), arriva al recente Spotlight presentato fuori concorso all'ultima edizione del festival di Venezia.

A Tutti gli uomini del presidente, Truth si rifa esplicitamente. Per ammissione dello stesso autore che ha dichiarato di essere cresciuto con il film diretto nel 1976 da Alan J. Pakula e vincitore di 4 premi Oscar. E per una serie di altre assonanze. Si pensi all'ambientazione (lì era la redazione del quotidiano Washington Post, qui la rete tv Cbs) oppure alla tematica (la guerra del Vietnam e il rapporto tormentato con i presidenti passati o futuri degli Stati Uniti) ma anche, e soprattutto, alla decisione di affidare nuovamente il ruolo da protagonista a Robert Redford (l'anchorman Dan Rather che ha condotto per 40 anni Cbs Evening News) . Affidandogli anche il compito di rivelare l'intento degli autori: «Questo film racconta cosa è successo alla libera informazione, come e perché è successo, e perché dovrebbe preoccuparvi».

Al centro del racconto c'è la figura di Mary Mapes: collaboratrice di Rather per 15 anni e produttrice del reportage che ha portato alla luce le torture nel carcere di Abu Grahib. A prestarle il volto è una sempre più intensa Cate Blanchett. Tra i due protagonisti c'è un rapporto non solo professionale. Che infatti finisce per avvicinarsi più a una relazione padre-figlia. A unirli ancora di più è la vicenda narrata sullo schermo. È il 9 settembre 2004, George W. Bush è stato appena rieletto da una settimana alla guida degli Usa. La sera precedente, all'interno di 60 Minutes, la Cbs ha mandato in onda un servizio, presentato da Rather e prodotto da Mapes, che svela come il due volte presidente americano abbia prestato servizio dal 1968 al 1974 come pilota della Guardia nazionale del Texas con l'intento di sfuggire all'invio in Vietnam.

La messa in onda del reportage e l'eco suscitata ai piani alti dello stesso network creano però più di un problema ai suoi autori. Questo è solo lo spunto di partenza di un'opera che, soffermandosi sul clima di “caccia alle streghe” che investì i due protagonisti e i loro collaboratori per non aver verificato a fondo la provenienza dei documenti di partenza dello scoop - riparte da dove ad esempio Spotlight si fermava. L'inchiesta giornalistica, che in quel caso riguardava lo scandalo dei preti pedofili di Boston, stavolta diventa il pretesto per allargare il cerchio all'intero sistema dei media. E oltre. Alla concentrazione di potere nei network americani, alle discriminazioni di genere e di idee politiche che ancora li caratterizza, al loro legame (più o meno dichiarato) con i governi di turno, all'importanza per la democrazia che il giornalismo lotti per portare a galla la verità del titolo. A patto di essere disposto – come si sente recitare in un passaggio del film- a «prendersi tutto quello che ne deriva».

Se l'intento di Truth era quello di stimolare nella testa dello spettatore quelle domande di cui rivendica l'importanza in più di un punto dobbiamo riconoscere che c'è riuscito. Qual è il ruolo della libera informazione oggi? Qual è la giusta distanza alla quale deve collocarsi dalla politica? Come tutelare il suo ruolo indispensabile di watching dog? Sono alcuni dei quesiti che sorgono alla fine della visione. E che - nonostante qualche scorciatoia di sceneggiatura e un utilizzo oltremodo classico di luci, montaggio e colonna sonora – ne fanno un film importante, potente, civile. Nel senso più alto del termine. Averlo scelto per inaugurare una manifestazione che l'anno scorso aveva aperto i battenti con Soap opera e quello prima con L'ultima ruota del carro è sicuramente un segnale incoraggiante. Per la kermesse capitolina e per il cinema in generale. Più di tante disquisizioni su Festa o festival che hanno accompagnato questi suoi primi 10 anni.

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