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Sesso e gender senza pregiudizi

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domenica

Sesso e gender senza pregiudizi

Chi non ricorda le due caselle con M e F dei vecchi documenti pubblici del passato? Il governo australiano ora di caselle ne propone ben 23 e Facebook Usa invita a scegliere il proprio “genere” tra 56 opzioni differenti! Altro che il codificato Lgbt già allargato al Lgbtq, con l’apparizione anche del queer dal genere variabile e indefinibile. La questione del gender, come si usa ormai classificarlo, è divenuta una sorta di vessillo impugnato da fronti opposti, un vessillo piuttosto sbrindellato, dai colori “arcobaleno” (con tutte le semantiche metaforiche che si assegnano a questo delizioso fenomeno di rifrazione solare).

Il termine-nebulosa gender sboccia dalla tensione tra due concezioni antropologiche antitetiche. Da un lato, è insediato l’“essenzialismo” naturale, convinto della struttura duale di base dell’essere umano a livello biologico e psicologico: in sede teologica si basa sull’antropologia biblica secondo la quale l’“immagine” di Dio nell’umanità è nel suo essere «maschio e femmina» e, quindi, nella capacità generativa che continua l’opera del Creatore (Genesi 1,27). D’altro lato, si è presentato il “costruzionismo” socio-culturale, convinto che le differenze di genere siano frutto di un’elaborazione della comunità sociale e culturale, secondo il celebre motto femminista primordiale del Secondo sesso (1949) di Simone de Beauvoir: «Donna non si nasce, ma si diventa». In realtà su questa bipolarità essenzialista-costruttivista è passata una bufera che ha rimescolato le carte.

Infatti il “genere” essenziale maschile e femminile, superato dal gender costruzionista che si congedava dal sesso biologico per aprirsi a una configurazione molteplice, ha visto l’entrata in scena della “decostruzione” formulata da Derrida e trasferita anche nella sede specifica del “genere” e del gender, con lo scompiglio di cui è emblema appunto il queer con la sua “plasticità” incontrollabile (si legga, al riguardo, la programmatica Disfatta del genere, proposta dalla statunitense Judith Butler nel suo saggio tradotto da Meltemi nel 2006). Come è evidente, da un tema di base abbastanza netto ci si è allargati a una visione molto ramificata e dispersa.

In tal modo, invece di un “genere” univocamente fissato si è passati a un gender variabile in base alle scelte mutevoli della libertà individuale. Si è, così, assistito al passaggio dalla famiglia “bicolore” a quella “arcobaleno” con le relative denominazioni “genitore 1 o 2”; si è creata una dissociazione tra la genitorialità affettiva e l’effettiva generazione del bambino, introducendo poi quella che Connel, prima Robert maschio, divenuto poi Raewyn donna transessuale, ha definito come l’“arena riproduttiva” nelle sue Questioni di genere, tradotte dal Mulino nel 2011. La massa intricata delle questioni si è affacciata anche nell’areopago della politica, soprattutto con le quattro Conferenze mondiali delle donne, promosse dall’Onu tra il 1975 e il 1995, in particolare con la quarta tenutasi a Pechino, dagli effetti piuttosto dirompenti. Progressivamente si è fatta strada, oltre l’indiscutibile necessità del riconoscimento della piena parità di diritti tra donne e uomini, una ben più variegata serie di istanze legislative: dalla registrazione anagrafica sotto sesso neutro o multiplo o alternativo rispetto alla dualità tradizionale M-F all’abolizione della terminologia di paternità e maternità sostituita da quella genitoriale neutra, dall’accesso al matrimonio in qualsiasi combinazione fino all’adozione da parte delle unioni omosessuali e così via.

In questo complesso orizzonte – che ha indubbiamente posto sul tappeto l’importanza di considerare natura e cultura come un binomio da integrare – è intervenuta raccogliendo la sfida anche la Chiesa cattolica, innanzitutto a livello “politico-diplomatico” durante le citate Conferenze mondiali, ribadendo che «uguaglianza non significa necessariamente identità (sameness) e differenza non è inequality». Ma lo ha fatto soprattutto in ambito antropologico-teologico attraverso i documenti della Congregazione vaticana della Dottrina della Fede e gli interventi magisteriali papali di Benedetto XVI ai quali si devono aggiungere quelli espliciti recenti di papa Francesco. Per far conoscere questa prospettiva ermeneutica specifica un teologo morale milanese, Aristide Fumagalli, ha elaborato una sintesi puntuale e nitida, affidata ad alcune coordinate che risulteranno utili per qualsiasi lettore credente, diversamente credente o non credente.

Infatti, due capitoli, fotografando la galassia socio-culturale che si è creata attorno al gender, illustrano sia l’evoluzione che si è verificata in questi decenni nel dibattito pubblico, popolare e filosofico, sia la relativa incidenza politico-giuridica. Altri due capitoli delineano, invece, la posizione della Chiesa cattolica nei suoi pronunciamenti magisteriali, registrando anche le diversità di approccio in sede teologica, e propongono in finale un progetto antropologico conclusivo. Le tendenze ecclesiali oscillano tra due impostazioni. Da un lato, si configura un rifiuto radicale e fortemente critico soprattutto delle teorizzazioni ideologiche riguardo al gender, considerate come una «strategia abilmente orchestrata tramite la manipolazione del linguaggio e la forte pressione di potenti lobbies negli organismi politici internazionali», destinate a camuffare un’antropologia “s-corporata”, affidata all’assoluta libertà individuale e tesa a screditare sessualità, matrimonio e famiglia nella loro tipologia strutturale classica.

D’altro lato, c’è però anche il tentativo di vagliare criticamente la prospettiva di genere così da produrre una più compiuta versione antropologica che, «lungi dal dissociare e screditare il sesso biologico rispetto al genere socio-culturale, riconosca il corpo sessuato nella duplice forma maschile e femminile come elemento-base sul quale si innesta e si sviluppa l’identità soggettiva, inevitabilmente connotata in senso sociale, culturale e politico». In questa linea va la proposta finale del teologo milanese (che aggiunge anche una “coordinata biblica” un po’ posticcia). Egli, infatti, afferma la necessità di un’interpretazione e di un’interazione delle «dimensioni costituite dell’essere umano, vale a dire la natura corporea, il sentimento psichico, la relazione interpersonale, la cultura sociale e, last but not least, la libertà personale».

Si approda, allora, a una reciprocità interpersonale simultanea ma anche asimmetrica che viene espressa simbolicamente attraverso lo sguardo: «Chi guarda può vedere l’altro ma non guardarsi, eppure può vedersi nello sguardo dell’altro». Fuor di metafora, nella dialettica del riconoscimento, la piena «identità maschile è acquisita all’uomo nell’incontro con la donna e, viceversa, l’identità femminile è acquisita alla donna nel suo incontro con l’uomo... L’uomo e la donna non si riconoscono come tali in proprio, ma l’uno attraverso l’altro». Tra l’altro, dobbiamo segnalare che la citata Judith Butler nel suo saggio più recente Fare e disfare il genere (Mimesis 2014) ha rettificato il tiro della sua tesi sulla “disfatta del genere” introducendo una riflessione significativa: «Il sesso biologico esiste, eccome! Non è né una finzione, né una menzogna, né un’illusione... La sua definizione, però, necessita di un linguaggio e di un quadro di comprensione... Noi non intratteniamo mai una relazione immediata, trasparente, innegabile con il sesso biologico. Ci appelliamo invece sempre a determinati ordini discorsivi. Ed è questo che mi interessa».

Aristide Fumagalli, La questione gender. Una sfida antropologica , Queriniana, Brescia, pagg. 108, € 9

Giulia Galeotti, Gender. Genere , Viverein, Roma 2010, pagg. 101, € 5

Pier Davide Guenzi, Sesso/Genere. Oltre l’alternativa , Cittadella, Assisi (PG) 2011, pagg. 128, € 9,80

Marguerite Peeters, Il gender. Una questione politica e culturale , San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2014, pagg. 160, € 17,50