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Dossier Room, tutto il mondo in una stanza

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Dossier | N. 36 articoliFesta del Cinema di Roma

Room, tutto il mondo in una stanza

Al suo secondo giorno di proiezioni la Festa del cinema di Roma ha già trovato il suo favorito per la vittoria del Premio Bnl del pubblico. È Room di Lanny Abrahmson. Un thriller teso e vibrante che si è appena aggiudicato il riconoscimento più importante all'ultimo Festival di Toronto, il People's Chiice Award, e che rischia seriamente di fare il bis nella capitale. A giudicare dalla reazione positiva con cui è stato accolto dal pubblico capitolino.

Del resto gli ingredienti ci sono tutti. A cominciare dalla storia. Il quinto film del 49enne regista irlandese Lanny Abrahmson, che si era fatto già notare una decina di anni fa per il convincente esordio di Adam & Paul, e' tratto dal bestseller mondiale Stanza, armadio, letto, specchio della sua connazionale Emma Donoghue e da lei stessa adattato per il grande schermo. Al centro del racconto c'è il piccolo Jack (il bravissimo Jacob Tramblay). Un bambino di 5 anni che è cresciuto con la madre Ma (Brie Larson) in un capanno dove la donna era stata rinchiusa dall'età di 17 anni dopo essere stata rapita da un balordo che conosciamo solo con il soprannome di Old Nick.

Quella stanza rappresenta il suo intero mondo. Ogni oggetto che la compone rappresenta al tempo stesso un compagno di giochi a cui dare un nome. Lì dentro Jack cresce, gioca, corre, impara, scopre, sperimenta. Come un qualsiasi bimbo della sua età. Per tutto il resto c'è la TV che rappresenta lo spazio e i pianeti. Nel mezzo nulla. Il 'fuori' non esiste. Almeno fino al giorno in cui la Ma non comunica a Jack il suo piano per farlo fuggire da quell'inferno e trovare riparo nel 'mondo'. Un tentativo che riesce e che significa la riconquista, per l'una, e la scoperta, per l'altro, della libertà.

Fin qui la trama. Di una vicenda che è forte di suo e che non perde mai di intensità grazie alle scelte sapienti e furbe il giusto di Abrahamson. Sin dalle prime inquadrature l'autore irlandese scegli di affidarsi 'chiavi in mano' al suo piccolo protagonista. Con due stratagemmi già visti spesso ma sempre efficaci. Da un lato, pone la macchina da presa ad altezza bambino; dall'altro, sceglie di affidarsi alla sua voce, sia on che off, per il racconto dei fatti. Nel farlo sceglie anche due stili completamente diversi di ripresa tra il 'prima' è il 'dopo'. Tanto è movimentato e frenetico nella prima parte, con la camera che danza, si arrampica, striscia nel piccolo e angusto capanno dove madre e figlio vivono quanto diventa pulito e geometrico nella seconda. Quella del ritorno alla vita. Il campo finalmente si allarga. Vediamo gli sfondi. Vediamo il contesto. Vediamo quel 'mondo, al quale Jack riesce ad abituarsi molto prima di Ma. Grazie alla resilienza, alla permeabilità e allo spirito di adattamento con cui tutti noi veniamo al mondo e che poi, troppo spesso, mettiamo da parte.

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