Cultura

Viaggio nei «paradisi» immortalati da Gauguin

  • Abbonati
  • Accedi
La mostra

Viaggio nei «paradisi» immortalati da Gauguin

Nessun artista della modernità, più di Gauguin, incarna nel suo lavoro la fascinazione esercitata dalle culture «primitive» su molti di coloro che, alla fine dell' 800, si trovarono ad affrontare lo choc della nuova, caotica vita metropolitana (la vie moderne così cara invece agli impressionisti, della generazione appena precedente), frutto del progresso tecnologico generato dal positivismo, che con l'industrializzazione e l'urbanesimo aveva spezzato il rapporto dell'uomo con la natura. E nessuno più di lui, anche per via delle sue radicali scelte di vita, seppe manifestare il fastidio per la “dittatura della ragione” -figlia anch'essa del positivismo- andando in cerca di una verginità dello sguardo e di una “purezza primigenia” che lo mettessero in connessione con l'interiorità più profonda e autentica dell'uomo.

Lui del resto rivendicava tale matrice “primitivista” anche in virtù del sangue peruviano ereditato dalla nonna materna, la scrittrice protofemminista Flora Tristán con cui, bambino, visse alcuni anni in quel Perù al quale avrebbe reso omaggio con i numerosi vasi antropomomorfi da lui modellati nella terracotta, ispirandosi ai vasi-ritratto andini. Era perciò quasi inevitabile che il MUDEC, nell'avviare la sua regolare programmazione, gli dedicasse un omaggio. Certo la scelta poteva apparire rischiosa, a pochi mesi dalla grande e magnifica mostra, commentata su queste pagine, della Fondation Beyeler di Basilea. Ma i curatori della rassegna milanese, Line Clausen Pedersen e Flemming Friborg, curatrice e direttore della Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, hanno scelto una strada diversa e, accanto alla settantina di opere di Gauguin, hanno puntato anche su manufatti e immagini dei luoghi remoti in cui l'artista visse, per documentare le fonti visive (alcune estranee alla sua vicenda biografica ma presenti nel suo bagaglio visivo, come l'arte egizia, la cambogiana, la giavanese) cui attinse nel comporre il suo universo favoloso. Né deve stupire che i curatori siano danesi: sebbene le opere giungano da 12 musei e collezioni internazionali, il nucleo più ricco appartiene alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, che grazie ai lasciti di Mette, la moglie danese di Gauguin, e degli Jacobsen (i proprietari del birrificio Carlsberg, suoi avidi collezionisti) possiede ben 47 sue opere.

Intitolata «Gauguin. Racconti dal paradiso», la mostra presenta suoi dipinti, incisioni e sculture (di legno o terracotta, che tanto avrebbero contato per più di un maestro del XX secolo, da Picasso a Matisse, a Kirchner), seguendolo passo passo nei suoi viaggi verso il «primordio»: prima in Bretagna, una terra aspra, isolata dalla Francia anche dalla lingua di ceppo celtico e caratterizzata da una religiosità visionaria e arcaica; poi a Panama e in Martinica, poi di nuovo in Bretagna, con soste mal sopportate a Parigi, fino alla prima partenza, nel 1891, per la Polinesia, dove visse tra Tahiti (due soggiorni, con un rientro penoso in Francia, minato dalla miseria) e le remotissime Isole Marchesi, dove sarebbe morto nel 1903 e dove è sepolto.

Le prime tre sezioni si aprono con un autoritratto e proseguono esplorando dapprima la sua ossessione per le arti «primitive», poi esibendo opere-chiave realizzate in Bretagna, in Danimarca, a Parigi e ad Arles, durante la breve, tragica convivenza con van Gogh. La quarta mette a confronto un dipinto degli esordi, il fosco Veliero al chiaro di luna, 1878, ancora tardo-romantico, con Arearea no varua ino, un capolavoro realizzato in Bretagna nel 1894, dopo il primo soggiorno a Tahiti, che condensa tutte le innovazioni della stagione matura, dai colori irreali ed espressivi, stesi poi in piatte campiture, alle nette, innaturali linee di contorno delle figure, ispirate ai cloison delle vetrate gotiche. Un'opera, questa, a prima vista sensuale ed edenica, in realtà enigmatica e angosciosa: accanto alle languide tahitiane Gauguin pone infatti una divinità sanguinaria e uno spiritello maligno (il titolo significa «il divertimento dello spirito maligno»), metafora della sua condizione esistenziale dolorosa, segnata dalla miseria. Da ultimo, la quinta sezione prende in esame il costante intreccio nel suo lavoro tra mito, fantasia, sogno e realtà, e la sesta esplora la sua tensione mai allentata verso un'arte vicina alla vita e alla natura, svincolata dalla cultura visiva europea e dalle asfittiche norme accademiche che la imprigionavano.

«Gauguin. Racconti dal paradiso »
Mudec - Milano
dal 28 ottobre 2015 al 21 febraio 2016

© Riproduzione riservata