Eugenio Corti è stato definito da Sébastien Lapaque, critico letterario de “Le Figaro”, nell'articolo di ricordo che apparve dopo la morte (il 7 febbraio 2014) “uno dei massimi scrittori d'oggi, uno dei più grandi, forse il più grande”. Parole che si dovrebbero tener presenti quando si cerca di dare un giudizio sul suo “romanzo corale” di quasi 1300 pagine “Il cavallo rosso”, giunto alla trentunesima edizione e tradotto in numerose lingue.
Quest'opera, sovente sottovalutata da certa critica impegnata soprattutto nei salotti, vide la luce nel 1983 e fu scritta “in undici anni di solitudine”, come nota Alessandro Rivali nell'introduzione al libro che raccoglie le lettere dalla Russia dello stesso Corti. Missive risalenti agli anni 1942 e '43, testimonianze preziose che consentono di entrare nel laboratorio esistenziale dello scrittore, nei giorni e nelle emozioni che saranno poi l'anima e il cuore del “Cavallo rosso”. Sono per così dire l'altra parte, ignota sino alla presente pubblicazione, del diario in cui fu narrata l'odissea del ventunenne tenente d'artiglieria Eugenio Corti, “I più non ritornano”, libro uscito da Garzanti nel 1947 (continuamente ristampato da Ares), opera che rappresenta la prima voce narrante l'inferno in cui si consumò la tragedia dell'Armir.
È sempre l'editore Ares – ha in catalogo i libri di Corti, anche la tragedia “Processo e morte di Stalin”, giunta all'ottava edizione – che pubblica “Io ritornerò”, le lettere dalla Russia che, come osserva il curatore Alessandro Rivali, “hanno una vivacità, una presa cinematografica” e offrono testimonianze che la storia non può ricordare nei dettagli e la letteratura non è più in grado di avere. “Voglio parlare con la gente comune russa, con gli operai, i contadini, con tutti. Questa è un'occasione straordinaria, unica”, si legge in una missiva. E in un'altra ecco le icone che i vecchi contadini avevano nascosto ai commissari politici; oppure una riflessione sui girasoli, o sull'autunno: “I boschi sulle rive del Don vanno perdendo le loro foglie. Presentano spettacoli incantati di alberi meravigliosamente dipinti di rosso pallido o di ruggine. Li ho visti solo qualche volta, perché i miei cannoni sono nella steppa e tra i grani…”. Eugenio osserva, organizza, scrive, soprattutto non si dimentica di ricordare che in quegli spazi immensi Dio si avverte.
Tali lettere, conservate nell'archivio di Corti, sono anch'esse pubblicate da Ares (pp. 248, euro 14) e saranno presentate alla Biblioteca Ambrosiana martedì 27 ottobre alle 18,30 (interverranno il prefetto monsignor Franco Buzzi, il curatore e la moglie di Eugenio, Vanda di Marsciano Corti). Non c'era luogo più adatto, giacché le carte dello scrittore e queste medesime lettere sono destinate all'Ambrosiana. È in corso l'inventario e la catalogazione.
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