Cultura

Il ciclo cosmico induista di Akram Khan

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DANZA

Il ciclo cosmico induista di Akram Khan

Danzatore globale, plasmatosi tra la danza classica indiana del kathak, e tecniche contemporanee occidentali; performer di stupefacente virtuosismo e autore di un linguaggio personalissimo; titolare di compagnia dal 2000, l'anglo-bengalese Akram Khan è superstar della fusion coreografica che mixa alla perfezione anche capoeira, tai chi e hip hop come ormai è pratica consueta in molta danza inglese. Ospite immancabile di Romaeuropa, spesso con una serie di duetti con nomi celebri internazionali - dal collega Sidi larbi Cherkaoui, alla stella Sylvie Guillem, a Israel Galvan, all'attrice Juliette Binoche -, è tornato ora in scena con un lavoro degli inizi, “Kaash”, “Se” in lingua hindi, spettacolo del 2002 che lo ha affermato a livello internazionale.

La coreografia, divisa in tre parti, è articolata sui diversi aspetti della divinità danzante Shiva: la violenza cosmica, la natura meditativa, il ciclo eterno di creazione e distruzione. S'inizia con un danzatore statico, di spalle, in silenzio davanti al vuoto del vibrante fondale rettangolare dello scultore e visual artist Anish Kapoor: una finestra sull'infinito incorniciata dal colore chiaro che, durante il pezzo, virerà impercettibilmente in rosso, blu e viola. L'ingresso di una donna, seguita dagli altri quattro danzatori in gonne nere gravitanti come su un sentiero di guerra intorno al performer immobile che subito scivolerà nel gruppo, e il suono delle percussioni di Nitin Sawhney, danno l'avvio alle turbolenze di energia innervata dalla pura forza fisica e agilità dei danzatori.

L'affascinante universo simbolico di Khan è reso attraverso movimenti di gruppo, simultanei e interdipendenti con giri vorticosi, staffilate delle braccia, rotazione del busto, della testa e delle mani a becco d'uccello, colpi secchi a terra, gesti eleganti e armoniosi all'unisono con i rapidi fonemi ritmici che sottolineano la danza veloce e decelerata, massiccia e morbida, fluida e combattiva. Si sovrappongono, tra braccia e gambe che s'intrecciano, i fraseggi di ciascun performer, con cicli ritmici all'unisono di entrate e uscite, con pause a intervalli e camminate che improvvisamente scattano in movimenti ampi ripresi dagli altri. La coreografia, illuminati dalle splendide luci di Aideen Malone, non intende illustrare, né narrare storie - a noi tra l'altro indecifrabili perché nel Kathak ogni gesto rappresenta la narrazione di leggende appartenenti ai testi sacri indiani -.

La sua potenza e bellezza è nella luminosa astrattezza di quell'universo di movimenti, col rumore di altri suoni che subentrano e di una luce pulsante, e che infine implode nella risucchiante oscurità del rettangolo di Kapoor. Fuori dal buio, un danzatore rotea come una galassia in un assolo da capogiro tornando alla sequenza di apertura e cadendo verso l'infinito.

Kaash”, coreografia Akram Khan, musiche originali Nitin Sawhney, scene Anish Kapoor, disegno luci Aideen Malone, costumi Kimie Nakano, interpreti Kristina Alleyne, Sadé Alleyne, Sung Hoon Kim, Nicola Monaco, Sarah Cerneaux. All'Auditorium Conciliazione per il Romaeuropa Festival 2015.

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