In una Festa del cinema che si avvia, forse un po' troppo stancamente, alla sua conclusione arriva sugli schermi Experimenter di Michel Almereyda. Un altro biopic dopo The end of the tour. Ma che finisce per sortire l’effetto opposto. All'empatia con la figura di David Foster Wallace e alla curiosità per la sua produzione letteraria che in quel caso nasceva naturale si contrappone qui una “distanza di sicurezza” tra le immagini sullo schermo e il pubblico in sala che rimane immutata per tutti e 90 minuti di proiezione. Ed è un peccato.
Gli ingredienti per stimolare la curiosità e interesse dello spettatore infatti c'erano tutti. A cominciare dalla scelta dei protagonisti (Peter Sarsgaard e Wynona Rider) e del soggetto: il celebre psicologo americano Stanley Milgram e l'esperimento ideato nel 1961 a Yale per dimostrare la teoria dell'obbedienza all'autorità. Uno degli assunti più noti e dibattuti delle scienze sociali sull'incapacità dell'uomo di non eseguire un comando per quanto atroce e assurdo sia. Una circostanza nella quale Milgram vede una possibile spiegazione di un fenomeno assolutamente inspiegabile e ingiustificabile come l'Olocausto. Tutto il plot ruota intorno alla sua sperimentazione più famosa: scegliere uomini e donne “qualsiasi”, dotarli di una macchina capace di indurre scosse elettriche in un malcapitato “allievo” e dimostrare la loro impossibilità di fermarsi in presenza di un ordine preciso ad andare avanti nonostante le urla e le preghiere del malcapitato. A cui si aggiungono i tentativi ripetuti negli anni seguenti di affinarla e approfondirla.
Questa fissità della storia sicuramente non aiuta il film a uscire dalle aule universitarie in cui è ambientato e a espandersi nella mente di chi lo guarda. Complice forse una macchina da presa perennemente fissa e un'ambientazione così accurata da sembrare finta. E neanche i due accorgimenti ideati per dare respiro alla vicenda (il protagonista che si rivolge direttamente allo spettatore per accentuare il taglio documentaristico e alcuni sfondi in bianco e nero che vogliono suggellare la storicità dell'accaduto) riescono a risollevarne le sorti. Con il paradosso di fare sentire lo spettatore a sua volta vittima di un esperimento: restare attaccato alla poltrona fino alla fine della proiezione in nome dell'obbedienza all'autorità. A quella del regista stavolta.
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