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Proust come non lo avete mai letto

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RANE

Proust come non lo avete mai letto

La Recherche è un'opera che non fa prigionieri. Ci incorona strenui condottieri o ci costringe alla ritirata. Non fidatevi di quelli che vi dicono «L'ho letta da giovane, dovrei rileggerla», «Sono a metà dei Guermantes da un paio di anni, devo solo trovare il tempo di andare avanti». Con Proust ci si sposa o si tagliano i ponti per sempre, non ci si scrive su WhatsApp.
Se si sceglie il matrimonio, l'unione non può dirsi senza conseguenze. Non tanto perché chi arriva alla fine del Tempo ritrovato diventa in qualche modo vedovo e, incapace di innamorarsi di altri autori, vive momenti di alienazione pari a quelli di un soldato di ritorno dal fronte. Quello poi passa. Sposare Proust – soprattutto prima della pensione e quando non si è accademici di professione – ci rende, agli occhi del mondo, creature esotiche, curiose e senza patria, simili a quei pappagallini tropicali che ci deliziamo a indicare sui rami dei parchi cittadini.

Non potrebbe, peraltro, essere altrimenti: nel panorama dei lettori (italiani ma in fondo mondiali), i proustiani formano una minoranza rarefatta, elitaria e curiosamente disomogenea, che osserviamo con un misto di deferenza velata di ironia, di incredulità mista ad amusement, di compassione mai priva di sospetto. Volendo semplificare, diremo che ne esistono tre tipi: quelli per cui Proust è lavoro, quelli per cui Proust è vita e quelli per cui è, semplicemente, il migliore scrittore al mondo. Accademici, monomaniaci (a dispetto del nome, i monomaniaci agiscono in gruppo, e si riuniscono per merende a tema, soirées più o meno galantes e passeggiate in fila indiana nei sottoboschi di Illiers-Combray) e semplici appassionati della Recherche non potrebbero essere più diversi. Ognuno ama Proust a modo suo e per ragioni diverse, e il modo in cui queste figure interagiscono, si detestano o si ignorano sistematicamente meriterebbe, da solo, un piccolo saggio a tema. A ogni modo, se non vi riconoscete in nessuna di queste tre categorie, non potete dirvi proustiani, e quindi difficilmente la raccolta Tutti i saggi – in uscita il prossimo 5 novembre per il Saggiatore – attirerà la vostra attenzione. Invece, per almeno un paio di buone ragioni, dovrebbe.

SCRIVERE SUL SERIO
Il volume, di oltre mille pagine, è stato curato da una delle grandi signore italiane della Recherche, Mariolina Bongiovanni Bertini, assistita nell'impresa da Marco Piazza e Giuseppe Girimonti Greco. Si tratta di una raccolta senza precedenti, che riprende, in parte, gli Scritti mondani e letterari pubblicati da Einaudi nel 1984, ma è stata ripensata con un taglio contemporaneo, arricchita con testi inediti, nuove traduzioni e apparati critici. Se non avete mai letto la Recherche, questo testo vi offre una splendida occasione di prepararvi all'impresa. Se ci avete provato e non ci siete riusciti, vi dà la possibilità di conoscere Proust senza averlo finito, o quantomeno vi aiuterà a trovare delle scuse plausibili per spiegare agli altri perché, nonostante l'abbiate «letto due volte», proprio non vi riesca di amarlo.

Proust ha scritto un solo, insostituibile romanzo, composto da sette volumi, è vero, ma solo per ragioni logistiche, e pensare di portarsi a casa la Recherche con un Un amore di Swann sarebbe come pretendere di conoscere Parigi dopo un pomeriggio sugli Champs-Elysées. I Saggi in compenso sono la Recherche senza la Recherche, sono Proust prima, durante e malgrado se stesso. Sono il passaporto del genio, e la prova che senza lavorare in modo spietato su se stesso e sulla sua opera nemmeno uno come lui sarebbe riuscito ad arrivare dove voleva.
Solo osservando sfilare questi testi uno dopo l'altro potrete capire come Proust sia diventato Proust o, più semplicemente, come gli sia venuto in mente di scrivere un libro come Alla ricerca del tempo perduto, che non è un romanzo e non è un saggio, che non è la sua storia ma è la sua storia, che gli ha rovinato la vita e gliel'ha salvata.

Proust inizia a scrivere la Recherche nel 1908, a 37 anni suonati. «Viene il giorno in cui comprendiamo che il domani non può essere del tutto diverso dallo ieri, giacché è fatto di ieri», e lui aveva capito che, se non fosse riuscito a puntare più in alto, a dare senso e voce alla sua vita interiore più profonda, sarebbe finito come un esteta qualunque (come Swann, per l'appunto) o, peggio, come uno di quei critici che giudicano tutto senza creare niente: ispirato ma inconcludente, colto ma freddo, brillante ma troppo mondano. Proust era, insomma, pronto a diventare un vero scrittore, ma non sapeva bene come fare. Comincia a scrivere un saggio, il Contro Sainte-Beuve (uno dei critici cui non voleva finire per assomigliare), poi gli viene il dubbio che forse sarebbe meglio concentrarsi su un romanzo; non riesce a decidersi, per un po' porta avanti entrambi e, come ci racconta Marco Piazza nella sua luminosa prefazione, a un certo punto chiede consiglio sul da farsi nientemeno che ad Anna de Noailles.

È così che, dopo anni di cronache mondane, saggi d'arte e trafiletti sulla vita parigina, Proust si mette a scrivere sul serio. Non ha ancora trovato la sua voce, e per cercarla si mette a imitare quella degli altri: ecco i Pastiches, testi scritti «alla maniera di», in cui mima lo stile di Flaubert e di altri grandi del tempo (testi in gran parte intraducibili, e quindi non inclusi in questa edizione). Criticando Sainte-Beuve si libera di una parte di se stesso che non gli serve più, imitando il prossimo cerca il suo stile, esitando fra due generi finisce per inventarne un altro, ed ecco che si imbarca in un'impresa leggendaria destinata a cambiare la storia della letteratura.

CONTRO I GIORNALISTI
Oltre ai contenuti più classici – il famoso questionario sulle cose per cui vale la pena vivere, i trattati sul cristianesimo medievale ispirati da Ruskin, lo splendido Giornate di lettura –, nei Saggi troverete di tutto: sprezzanti frecciate contro giornali e giornalisti («La bellezza giornalistica riceve sempre la sua ultima espressione dalla folla, e tale espressione è sempre un po' volgare»; «Ma volli, prima, dare un'occhiata al Figaro, procedere a quell'atto abominevole e voluttuoso che si chiama “leggere il giornale”»), consigli di interior design («Le teorie di William Morris (…) decretano che una camera, per essere bella, deve contenere soltanto cose che ci siano utili e che ogni cosa utile, fors'anche un semplice chiodo, sia non dissimulata, ma ben visibile»), elogi di imbarazzante piaggeria (dedicati, fra gli altri, al dandy Robert de Montesquiou, al pianista Camille Saint-Saëns e alla pittrice Madeleine Lemaire), monologhi dal sapore morettiano («Penso a tutte le persone che non leggono Le Figaro, che forse oggi non lo leggeranno, che stanno per partire per la caccia, o che non l'hanno aperto.

E poi, coloro che lo leggono, leggeranno il mio articolo? Ahimé! Coloro che mi conoscono lo leggeranno se vedono la mia firma. Ma la vedranno? Mi rallegravo di non essere in prima pagina, ma credo che in fondo vi siano persone che non leggono altro che la seconda. È vero che per leggere la seconda bisogna spiegare il giornale, e la mia firma è proprio in mezzo alla prima pagina e tuttavia mi sembra che, quando si sta per voltare la seconda pagina, non si notino della prima altro che le colonne sulla destra. Faccio una prova…»), faziosi in memoriam (per Alphonse Daudet, l'immancabile Ruskin e uno, addirittura, per la nonna di un collega del Figaro), dimenticabili componimenti di francese dei tempi del collège, spudorati glamorama del Tout-Paris del tempo, teorie filosofico-letterarie e dialoghi puerili di un mammone bisognoso d'affetto.

Imperdibili sono poi i saggi in cui vi spiega Flaubert attraverso le sue metafore (non ce n'era una bella, secondo Proust) e vi racconta Baudelaire citando Victor Hugo. Difficilmente, infine, troverete un ritratto più brillante e spietato di Balzac: forse solo Octave Mirbeau ha saputo fare di meglio.
Nessuno di questi testi, ovviamente, vale la Recherche, e almeno su questo, per una volta, tutti i proustiani saranno d'accordo. Ma ognuno ne annuncia e ne custodisce qualcosa, e sfogliare i Saggi vi darà l'impressione di attraversare la vita e l'opera Proust a bordo di un treno di provincia, che tocca tutte le fermate dei suoi anni, dei suoi amori e dei suoi errori. Se poi vi sposerete o meno, ecco, questo è affare vostro.

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