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Prima di lanciare l'iPad, e dopo aver rivoluzionato il mercato della musica con l'accoppiata iPod-iTunes, Steve Jobs è andato a New York a incontrare i massimi vertici dell'editoria americana con una formidabile idea, o forse era solo un'illusione: quella di reinventare e salvare il mondo dell'editoria. «Uno dei miei progetti personali di quest'anno – disse Jobs a Walter Isaacson, autore della biografia autorizzata dal fondatore di Apple – è cercare di salvare il New York Times, e non importa se il New York Times lo voglia o meno. Non possiamo dipendere dai blogger per le notizie. Abbiamo bisogno più che mai di giornalismo in tempo reale e di supervisione editoriale».


Non è andato tutto liscio, il progetto. In quel momento, la contesa con gli editori riguardava la spartizione dei ricavi (Apple tiene per sé il 30 per cento di quanto venduto sull'App Store) ma soprattutto la perdita del rapporto diretto con i lettori, a cominciare dall'indirizzo e-mail e dal numero di carta di credito. Anche se alcuni giornali, come il Financial Times, hanno deciso di fare una web-app esterna all'Apple Store per non sottostare alle sue regole, oggi le più grandi testate si possono leggere sul display di un iPad (o di un suo competitor).


La Apple di Tim Cook non è la stessa di quella fondata e poi rilanciata da Steve Jobs, ma è rimasta intatta l'ispirazione messianica e la magnifica idea di rivoluzionare il mondo dell'editoria, e dei giornali in particolare, così come è successo negli anni precedenti con il mercato discografico. Con la musica è stato più semplice: nel 1999, l'industria mondiale valeva oltre 37 miliardi di dollari (dati Ifpi), ma quell'anno nasceva Napster e da lì in poi è stato un crollo finito soltanto nel 2012, con la prima crescita. Oggi, l'industria discografica vale 15 miliardi, meno della metà rispetto al 1999, ma la tenuta c'è stata, grazie all'innovazione applicata al mercato: il download a pagamento via iTunes e lo streaming su abbonamento guidato da Spotify, al quale anche Apple si è dovuta convertire con il nuovo servizio Music. Negli Stati Uniti, nei primi 6 mesi del 2015 il giro di affari dello streaming ha superato quello del cd fisico, e ora vale il 33 per cento contro il 27 per cento, mentre il 40 per cento è download.


La lezione per il mondo dell'informazione è doppia: la composizione dei ricavi sarà sempre più variegata; e le aziende tecnologiche avranno un ruolo importante nel futuro dell'industria editoriale. Non è un caso che negli ultimi mesi si siano mossi un po' tutte le big della Silicon Valley con progetti che hanno a che fare con le news: Twitter, Snapchat, Facebook, Yahoo, Google.


Con il lancio del nuovo sistema operativo iOS9 per iPhone e iPad, Apple ha fatto debuttare News, l'app preparata dagli uomini di Tim Cook per realizzare il sogno editoriale di Jobs. News per ora è disponibile solo negli Stati Uniti, per provarlo dall'Italia bisogna cambiare nelle impostazioni dell'iPad la regione e selezionare “Stati Uniti”. News è un aggregatore, sul modello di Flipboard e simili. Presenta in modo chiaro e ordinato articoli tratti dai giornali degli editori partner, permette di salvare i testi preferiti in modo da leggerli successivamente, suggerisce canali tematici ed è guidato da un algoritmo che studia i comportamenti del lettore e gli confeziona un notiziario su misura.


A parte la pulizia dell'aspetto grafico tipica dei prodotti Apple, News non ha nulla di tecnologicamente straordinario rispetto a quanto esiste già sul mercato. Ma non è questo il punto. Il punto è che Apple News, con i tanti giornali di qualità da poter leggere gratuitamente in un unico ambiente, si trova sulla home di iPhone e iPad, ed essere lì dentro significa entrare in contatto con decine di milioni di persone che non devono fare nessuno sforzo per andarsi a cercare i singoli giornali o un altro aggregatore di notizie.
News è partito coinvolgendo i principali editori anglosassoni: New York Times, Wall Street Journal, Economist, Washington Post, Financial Times, Guardian, Time Warner, le riviste Condé Nast e molti altri. Rispetto ai tempi di Jobs, l'approccio del suo successore è più morbido: all'interno di Apple News si può inserire pubblicità, secondo un formato che sembra ricalcare più il native advertising che il banner pubblicitario, più contenuti sponsorizzati che tradizionale comunicazione commerciale. Il modello di business è questo: se l'editore vuole vendere la pubblicità autonomamente, può farlo e si tiene il 100 per cento dei ricavi; se vuole aderire al formato proposto da Apple – si chiama Apple News Format – e fare vendere la pubblicità alla piattaforma iAd, la percentuale è del 30 per cento per Apple e del 70 per l'editore. Sono le stesse cifre di Instant Articles, il progetto di Facebook che vuole integrare gli articoli dei giornali in maniera nativa, cioè consentendo al lettore di aprirli istantaneamente nel social, senza bisogno di cliccare su link esterni, riducendo i tempi di caricamento delle notizie e offrendo un motivo in più agli utenti per restare sulle sue pagine. Anche Apple ha lo stesso obiettivo, assieme a quello di trovare nuovi formati digitali di comunicazione pubblicitaria, ma per ora ci sono ancora pochi articoli creati con Apple News Format (si trovano su News nella sottosezione “Apple News Updates”).


Negli articoli riaggregati da News, rispetto alle versioni ospitate sui siti dei giornali d'origine, per ora non c'è pubblicità, forse perché l'app è ancora nella fase di lancio. La pubblicità, però, è prevista e il particolare non è da poco: Apple offre agli editori una sponda notevole, anche se – con il sistema operativo iOS9 su cui girano gli iPad e gli iPhone – consente contemporaneamente lo scaricamento delle app che bloccano le pubblicità pop-up su Safari. Così Apple, mentre con News apre a nuovi ricavi per gli editori, con le app che bloccano la pubblicità toglie fiato ai siti di informazione e al suo vero competitor: Google.


Apple non commenta, nonostante le richieste, e in generale conferma la solita grande riservatezza del marchio anche su tutto quello che riguarda News. Per esempio, non si sa in quali altri Paesi arriverà l'app, né quando, né se tra questi ci sarà l'Italia.
L'esperienza di lettura con Apple News è piacevole, con dei limiti. Il servizio è gratuito, a differenza delle app dei singoli giornali. La sezione che accoglie il lettore si chiama “For You” e contiene la selezione fatta con l'algoritmo ma forse non solo, visto che di recente Apple ha assunto un team di giornalisti. Uno dei problemi di News è quello della gerarchia delle notizie: farsi un'idea dei temi di giornata, pur filtrati secondo i propri interessi, è difficile. Le homepage dei giornali online, o le versioni digitali via app, su questo hanno un grande vantaggio competitivo: c'è un'organizzazione umana e non un algoritmo a scegliere che cosa è importante e che cosa lo è meno. Con News, poi, mancano le sorprese: il sistema automatizzato dà solo le notizie sui temi e dalle fonti indicate dal lettore; non c'è la serendipity.


L'altro tema è quello della scelta dei contenuti che ogni singolo editore decide di fornire al lettore di News. La Cnn mette tutto, mentre l'Economist, dopo 10 articoli letti, chiede di abbonarsi. Il Wall Street Journal offre solo una selezione e lo scrive chiaro ai lettori: per avere tutti i nostri contenuti andate sul nostro sito o scaricate la nostra App. Anche questa è una concessione agli editori, impensabile ai tempi di Jobs: all'interno di News si possono mettere link che puntano alle loro pagine. Infine, la più importante delle concessioni: secondo quando scritto da alcuni giornali americani, Apple condivide con gli editori i dati di traffico tracciati da ComScore. In questo modo, l'editore non perde il controllo sui propri contenuti. Ma resta «una potenziale perdita di controllo», ha detto Joshua Benton, direttore del Nieman Journalism Lab a Business Insider. «Se eri un giornale prima del web, volevi controllare tutta la vendita di pubblicità, la distribuzione, la stampa e anche il furgone che distribuiva nelle case il prodotto». La nuova opportunità offerta da News è invece quella sottolineata da Mark Thompson, presidente della società editrice del New York Times: «Entrare in contatto con nuovi lettori, quelli che non hanno grande confidenza con il nostro brand».


È tutto da dimostrare che l'app avrà successo e sarà da studiare se Apple News starà all'informazione così come iTunes e lo streaming sono stati alla musica. Secondo gli ultimi dati di Wan-Ifra, l'associazione mondiale degli editori, i ricavi dei giornali cartacei a livello globale superano il 90 per cento di quelli complessivi. Il dato risente di realtà (l'India, i Paesi africani) dove la carta è in crescita, ma è vero che i vecchi giornali restano la grande voce dei bilanci anche nel mondo occidentale, e in Europa più che negli Usa. La novità è che, nel 2014, per la prima volta il fatturato legato alla diffusione ha superato quello della pubblicità: 92 miliardi di dollari contro 87 miliardi. Gli editori rafforzano il rapporto diretto con il lettore, ma la pubblicità online è sottorappresentata perché quasi tutta nelle mani di Google e di Facebook. La partnership con le aziende tecnologiche come Apple permette agli editori di entrare in contatto con questa nuova, potenziale voce di ricavi.
Quello dei giornali e quello delle aziende tecnologiche sono mondi diversi che si studiano e temono da anni. Punti di contatto ce ne sono stati: per esempio, agli albori di Facebook il Washington Post voleva comprare il social network, ma Zuckerberg disse di no. Qualche anno dopo, il Washington Post è finito nelle mani di Jeff Bezos, capo di Amazon.

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