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De Gregori canta Dylan: «Meriterebbe il Nobel, ma per la…

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l’intervista

De Gregori canta Dylan: «Meriterebbe il Nobel, ma per la musica»

«Non c'è stata nessuna riflessione particolare sulla scelta delle canzoni. Non ho preso il canzoniere di Dylan e mi sono detto “Questa sì, questa no”. Sono dylaniano da quando avevo 15 anni. La sua musica è stata la mia via di Damasco. Piuttosto che scegliere le canzoni, ho lasciato che le canzoni scegliessero me».

Francesco De Gregori non vuole arrendersi alle ricostruzioni dietrologiche. A Milano, in un'evocativa Osteria del Treno che sa ancora di lotte sindacali, presenta il suo nuovo disco, «De Gregori canta Bob Dylan. Amore e Furto», in uscita venerdì 30 ottobre per la Caravan distribuito da Sony Music. Il concept si spiega da solo: è il Discepolo che omaggia il Maestro. Traducendo, re-interpretando e ri-arrangiandone 11 canzoni. E invita gli esegeti a non esagerare con le esegesi: «C'erano canzoni che mi piacevano moltissimo, come “My back pages”, quella che esprime il concetto di “Younger than yesterday”: “Oh ma io ero più vecchio allora/ di quanto sia giovane adesso”. Un capolavoro. Avrei voluto inserirla nell'album, ma in italiano non rendeva. Diciamo che ho cantato le canzoni di Dylan che mi sono capitate addosso».

La versione del «dylaniato»
Ma l'ascoltatore «dylaniato» (grado maniacale supremo per i fan di Dylan) farà una certa fatica a credere alla versione ufficiale dei fatti: qui ci si smarca, si vuole andare a parare da un'altra parte, è evidentissima una fuga dall'ovvio, da tutto ciò che ci saremmo aspettati da De Gregori che canta Dylan. Nell'omaggiare il Maestro, pare infatti che il Discepolo italiano faccia di tutto per evitare le scorciatoie. Niente (o quasi) superclassici, no alle pietre miliari - ché ricantate spesso e volentieri si sciolgono in sabbie mobili -, fuori dalla porta le «Mr. Tambourine Man», le «Like a Rolling Stone» o le ancora più scontate «Blowin' in the Wind» del caso. Gli unici capitoli «alti» del repertorio del Menestrello di Duluth ripresi dal Principe sono «If you see her, say hello», dal capolavoro Seventies «Blood on the Tracks» (la «Non dirle che non è così» già eseguita da De Gregori dal vivo da 20 anni e dal vivo incisa ne «La valigia dell'attore»), «Desolation Row»/«Via della Povertà» (una prima traduzione del brano fu affidata a Fabrizio De André nel 1974, ma qui il testo cambia in più di un punto, la ritmica si fa distorta, l'armonica lascia posto a una marchin' band con tanto di harmonium), «I shall be released»/«Come il giorno» (nota più per l'interpretazione di The Band che per quella di Dylan) e il proto-rap di «Subterranean Homesick Blues» che diventa la più compassata «Acido seminterrato» (lui dà la colpa alla «metrica della lingua italiana», ma i 24 anni del Dylan del '65 non sono i 64 del De Gregori di oggi).

Grandi classici «ineseguibili»
Gli altri sette pezzi sono attinti dalla produzione minore di Sua Bobbità: il singolo «Un angioletto come te», felice adattamento degli anni Ottanta di «Sweetheart like you», la cristiana «Gotta serve somebody»/«Servire qualcuno», ancora gli anni Ottanta di «Political World» («Mondo politico»), «Not Dark Yet» («Non è buio ancora»), «Tweedle dee & tweedle dum» da «Love and Theft», disco pubblicato nel fatidico 11 settembre 2001, addirittura lost and found del repertorio di Mr. Zimmerman («Series of Dream», «Dignity»). Una scelta per certi versi analoga a quella del Dylan di oggi che in concerto tutto fa, tranne quello che ci si aspetterebbe da lui.

Niente armonica, siamo dylaniani
Sempre per giocare sullo spiazzamento, De Gregori stavlta non usa mai l'armonica diatonica, strumento-feticcio che ha imparato/importato proprio dagli album del Maestro. Se glielo fai notare, gli scappa un sorriso: «È vero, ho deliberatamente rinunciato a suonare l'armonica, perché non puoi suonare l'armonica dopo Bob Dylan. Quanto ai grandi classici del suo songbook, pezzi come “Like a Rolling Stone” o “Just like a woman” per quanto mi riguarda sono ineseguibili», addirittura «qualcosa di sacro». Il disco, a partire da marzo 2016, sarà portato in tour dal cantautore romano, in uno spettacolo che si preannuncia in due tempi, così da «non mescolare le due produzioni». Ma Dylan meriterebbe il Nobel per la letteratura per il quale è ogni anno candidato? Il tema non appassiona il Principe: «Sapete come la penso: scrivere canzoni è diverso dalla letteratura. Se esistesse un Nobel per la musica, lo meriterebbe senza “se” e senza “ma”. Dargli quello per la letteratura sarebbe come dare un premio per la falegnameria a un idraulico».

Dylan l'«impressionista»
La devozione di De Gregori – del quale venerdì 30 per Sypress esce anche il libro fotografico con Dvd «Guarda che non sono io» - per Sua Bobbità è assoluta. Lo paragona a Courbet, «pittore alle origini dell'impressionismo, uno che ha cambiato la prospettiva. Pensiamo ai suoi assoli: a nessuno verrebbe in mente di suonare in quel modo, ma fatto da lui ha un senso. Per certi versi mi ricorda il mio amico Lucio Dalla quando improvvisava». Il senso più profondo di questa operazione è il titolo: «Amore e Furto», traduzione letterale di «Love and Theft» che «era un disco in cui Dylan dichiarava apertamente di aver rubato da pezzi che amava. Lo stesso che da oltre 40 anni faccio io col suo repertorio». Un disco onesto che suona benissimo.

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