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Cinema

Futuri (im)possibili al Torino Film Festival con «High-Rise» e «Under Electric Clouds»

Fantascienza d'autore al Torino Film Festival: sono diversi i film presentati all'interno della kermesse piemontese ambientati in futuri distopici e inquietanti.
Se nella sezione “Cose che verranno” hanno trovato spazio capolavori come «Arancia meccanica» e «Blade Runner», anche le nuove proposte hanno raggiunto risultati interessanti.

Tra queste, svetta in particolare «Under Electric Clouds» di Aleksej German Jr.
Diviso in capitoli, il film mostra una serie di personaggi che attraversano un paesaggio surreale, dove il passato (una gigantesca statua di Lenin) e il futuro (grattacieli futuristici) si incontrano in un dialogo dai toni apocalittici.
La “fantascienza” del regista russo è una rappresentazione simbolica dell'odierna situazione del suo paese natale, contrassegnata da una crisi (economica, sociale e morale) che non sembra avere mai fine.
Fin troppo ostico in alcuni passaggi ma costantemente suggestivo e ricco di riflessioni profonde, è un lungometraggio che colpisce per la notevole costruzione delle inquadrature e delle sequenze.
Figlio d'arte, German Jr. gira con grande maturità, puntando su sinuosi movimenti di macchina e su eccellenti scelte di luce.
Ci vuole un po' di pazienza, certo, ma arrivati al termine si verrà premiati da una visione mai banale e di buono spessore.

Convince meno, invece, «High-Rise», film dalle notevoli premesse ma incapace di portarle a compimento.
Diretto dal talentuoso regista inglese Ben Wheatley, ha come protagonista Tom Hiddleston nei panni di un medico che si trasferisce in un fatiscente grattacielo. Tra i piani alti dei più ricchi e i piani bassi dei benestanti, però, non corre buon sangue e potrebbe scoprirlo a sue spese.
Tratto dal romanzo «Condominio» di James Ballard, «High-Rise» colpisce nella prima parte, salvo poi perdersi e girare a vuoto nella seconda.
Ottimi gli spunti (nel futuro prossimo in cui è ambientato il film, il grattacielo diventa metafora della società intera) e niente male l'apparato visivo, ma il messaggio è ridondante e gli eccessi sono filmati con un certo autocompiacimento.

Infine, una menzione anche per «La felicità è un sistema complesso» di Gianni Zanasi con Valerio Mastandrea.
L'attore interpreta Enrico, un avvocato che incontra dirigenti d'azienda incompetenti e irresponsabili, convincendoli ad andarsene. Un caso particolare, però, potrebbe essere più complicato del previsto.
A otto anni di distanza dal sorprendente «Non pensarci», Zanasi torna a firmare un lungometraggio, ma i risultati sono decisamente inferiori a quelli ottenuti col film precedente.
Modesto nella scrittura e prevedibile nel suo andamento narrativo, «La felicità è un sistema complesso» smette presto d'interessare, incapace di trovare il giusto ritmo o guizzi realmente degni di nota.
Poche idee per un'operazione che si trascina stancamente fino alla fine. Bravo Mastandrea, ma non basta.

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