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Una Pulzella nella storia

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GIOVANNA D’ARCO

Una Pulzella nella storia

Un’immagine delle prove alla Scala di «Giovanna d’Arco»
Un’immagine delle prove alla Scala di «Giovanna d’Arco»

Ci è difficile credere che Giovanna d’Arco, con cui la Scala apre la stagione 2015-2016, sia un lavoro teatrale conosciuto e frequentato dal pubblico. Tentiamo un’identificazione. In ordine cronologico, è la settima opera di Giuseppe Verdi, nato alle Roncole, frazione di Busseto nel ducato di Parma allora direttamente governato dalla Francia napoleonica, sabato 9 o domenica 10 ottobre 1813, morto a Milano domenica 27 gennaio 1901.

Le sette opere verdiane che ebbero la loro prima assoluta alla Scala (semplificando, non consideriamo le seconde versioni della Forza del destino, di Simon Boccanegra, di Don Carlos…) si dividono in due gruppi disuguali. Da un lato, gli ultimi due drammi per musica di Verdi, Otello (1887) e Falstaff (1893), entrambe consacrazioni scaligere di un musicista-simbolo. Dall’altro lato, cinque opere. Le prime quattro del catalogo verdiano, Oberto conte di San Bonifacio (1839), Un giorno di regno (1840), Nabucco (1842), I Lombardi alla prima crociata (1843), esordirono tutte di seguito sul palcoscenico scaligero. Non nacquero alla Scala due opere entrambe del 1844, Ernani (T. La Fenice, Venezia) e I due Foscari (T. Argentina, Roma). L’anno dopo si ritornò a una première alla Scala, appunto, con Giovanna d’Arco, su libretto di Temistocle Solera (Ferrara, lunedì 25 dicembre 1815 ̶ Milano, domenica 21 aprile 1878), non eccelso poeta che fornì a Verdi proprio il testo della sua prima opera, Oberto, e, oltre a quello di Giovanna d’Arco, i libretti di Nabucco, dei Lombardi e di Attila (1846).

Solera, avventuroso personaggio, dal 1845, anno di Giovanna, fu impresario teatrale in Spagna, scrisse libretto e musica di un’opera tutta sua, La hermana de Pelayo, fu consigliere segreto della regina Isabella, e forse suo amante. Di nuovo a Milano dal 1856, fu latore di documenti segreti tra Cavour e Napoleone III. Dopo l’impresa garibaldina, il governo della nuova Italia lo volle delegato di Polizia contro il brigantaggio in Basilicata. Apprezzato dal Ministero degli Interni, fu nominato questore di Firenze, capitale d’Italia dal 1865 al 1870. Non piacque all’apparato la sua familiarità con Vittorio Emanuele II: fu trasferito a Palermo, poi, pare, a Bologna. Negli ultimi anni di vita, riorganizzò la Polizia del Khedivé d’Egitto, con successo. In Italia, fu antiquario senza gran successo. Cadde in povertà. Prima di morire scrisse un poema, Medium, contro la moda dello spiritismo. Mica male, come vita, vero? Ma leggete Franca Cella e Angelo Curtolo, che ne sanno mille volte più di noi.

La prima assoluta di Giovanna d’Arco al Teatro alla Scala di Milano fu sabato 15 febbraio 1845: maestri al cembalo, Giuseppe Verdi e Giacomo Panizza, primo violino e direttore d’orchestra, Eugenio Cavallini. Nello stesso spettacolo s’inserirono il «gran ballo fantastico» (!) La rivolta delle donne nel Serraglio con l’affascinante danzatrice Fanny Elssler, coreografia di Bernardo Vestris, musica di Francesco Schira, e il «ballo comico» (!!!) Don Chisciotte, coreografia di Vestris e di Jacques-Louis Milon. Su altri innumerevoli dettagli, si legga Eduardo Rescigno: anch’egli ne sa mille volte più di noi. Perché di nuovo un lavoro verdiano apparisse in prima assoluta alla Scala, sarebbero trascorsi, fino al sabato 5 febbraio 1887 di Otello, quarantadue anni.

Un’opera, libretto e musica, è un territorio sufficientemente noto a una minoranza bene informata. Esigua schiera sono coloro che sappiano individuare ciò che è “sotto” il libretto, e gli strati ancor più profondi. La “teoria dell’ascensore”, da noi elaborata insieme con i nostri allievi nel corso degli ultimo otto anni,, tende a illuminare il pianterreno, e il seminterrato e il sotterraneo. Evitiamo l’errore di classificare come “drammi storici” le opere del teatro musicale ispirate non direttamente alla storicità e all’accadere, bensi alla mediazione poetica. Don Carlos o Nabucco sono opere di fonte piuttosto “letteraria-teatrale” che non direttamente storica. Scendiamo di uno o due piani. “Sotto” Giovanna d’Arco e Solera c’è la vicenda documentata di Jeanne d’Arc, nata verso il 1412 a Domrémy (ducato di Bar, oggi nel dipartimento dei Vosgi in Lorena). Colei che fu detta, dopo il XVI secolo, la Pucelle d’Orléans, e, dopo il XIX, mère la nation française, a diciassette anni ricevette dalle “voci” dell’arcangelo Michele, di Margherita d’Antiochia e di santa Caterina la missione di liberare la Francia dagli inglesi. Rincuorò il re Carlo VII, incline a cedere al destino; rianimò l’esercito francese, e nel 1729 liberò Orléans dall’assedio. Catturata nel 1430 a Compiègne dai borgognoni, fu venduta agli inglesi dal conte Jean de Ligny per la somma di 1000 livres. Iniquo il processo, condotto da Pierre Cauchon vescovo di Beauvais e già rettore dell’Università di Parigi che l’accusò di eresia e stregoneria. Giovanna fu arsa viva mercoledì 30 maggio 1431 a Rouen, capitale del ducato di Normandia, allora possedimento inglese. Il processo fu disconosciuto dalle lacrime di coccodrillo del papa Callisto III nel 1455. Nel 1456, un secondo processo “riabilitò” (?) Giovanna, che fu beatificata da Pio X nel 1909 e canonizzata da Benedetto XV nel 1920.

Ora, con l’ascensore, saliamo. Tra questi eventi e il libretto di Solera, sopra la base dolente e incandescente dei fatti, ci sono due storiografi quattrocenteschi: Perceval de Cagny, di cui quasi nulla si sa, che scrisse le sue Chroniques verso il 1436, e Jean Chartier (1385/1390 ̶ domenica 19 febbraio 1464), Chronique de Charles VII, roi de France, edita nel 1476. Gli atti e verbali del processo, su cui è condotto il film di Robert Bresson Procès de Jeanne d’Arc (1962), furono editi nel 1840. Nel 1841 uscì il V volume (sull’epoca di Carlo VII) dell’Histoire de France di Jules Michelet, e nello stesso anno fu pubblicato il suo estratto dedicato alla vicenda di Giovanna d’Arco.

Ma l’anello di congiunzione tra tutta questa materia descritta e l’opera di Verdi è un grande dramma storico. Giovanna d’Arco è la prima delle quattro opere verdiane tratte dal teatro di Friedrich Schiller (Marbach, Württemberg, sabato 10 novembre 1759 ̶ Weimar, giovedì 9 maggio 1805). Le altre tre sono: I masnadieri, 1847, da Die Räuber, 1781; Luisa Miller, 1849, da Kabale und Liebe, 1784; Don Carlos, 1867 (Don Carlo, 1884), da Don Karlos, Infantvon Spanien, 1787. Per Giovanna d’Arco, Solera si valse della traduzione (La Vergine d’Orléans, 1830), opera di Andrea Maffei (1798-1885), della tragedia schilleriana DieJungfrau von Orleans (in tedesco, senza accento acuto sulla “e” !), in première a Lipsia, Theater am Mannstädter Tore, venerdì 11 settembre 1801. Su Maffei traduttore sarebbe d’obbligo studiare la bella dissertazione di Ilaria Meloni, I masnadieri: Andrea Maffei mediatore tra Schiller e Verdi (2007). Diciamo soltanto che il libretto, scritto da Solera in stile tra fiabesco ed epico-popolare, semplifica sino all’osso la tragedia di Schiller, della quale esso ignora alcuni personaggi fondamentali: fra essi, Agnès Sorel («Agnes» nel testo tedesco) Filippo il Buono duca di Borgogna, il Bastardo d’Orléans ossia il conte Dunois, Fastolf (= Falstaff), i tre corteggiatori di Giovanna («Johanna» in Schiller) ossia Etienne, Claude-Marie, Raimond. È ben vero che Schiller commette alcuni errori storici, fra cui uno grave: Agnès Sorel, nata nel 1422, divenne amante di re Carlo VII dopo il rogo di Giovanna .

Le cronache d’epoca sono generiche nel riferire di come i fremiti orchestrali, i tremoli, il senso di spavento, ma anche le marcette e le melodie grezze, o la bella entrata di Carlo VII all’inizio, «Nel suo bel volto…», furono interpretati da Antonio Poggi (Carlo VII), Erminia Frezzolini (Giovanna), Filippo Colini (Giacomo padre di Giovanna), Napoleone Marconi (Delil, ufficiale del re), Francesco Lodetti (Talbot, comandante in capo degli inglesi).

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