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Una Giovanna d’Arco con le migliori voci del momento

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LA PRIMA DELLA SCALA

Una Giovanna d’Arco con le migliori voci del momento

Si esce dalla Scala con la certezza di aver ascoltato in questo 7 dicembre la migliore soprano e il migliore tenore del nostro tempo, Anna Netrebko e Francesco Meli. Anche se si può uscire con qualche dubbio da questo debutto, coronato da applausi per tutti, lunghi alla fine undici minuti (foto) con lanci di coriandoli e fiori, nessuna contestazione e persino qualche inaspettato “Viva Verdi”. Il dubbio è se in scena abbiamo visto la storia di Giovanna d’Arco, vera o comunque filtrata dalla retorica del melodramma, oppure se i due registi, Moshe Leiser e Patrice Caurier, al debutto a Milano, abbiano con estrema libertà inventato la storia di una ragazza isterica, preda di visioni assurde, malata come la Augustine del dottor Charcot (a Parigi, nella seconda metà dell’Ottocento) che immagina di essere Giovanna, come via di fuga da un padre repressivo.

Creare una storia parallela a quella di Verdi è una scelta azzardata. Soprattutto col primo Verdi, che ha che fare con libretti dal linguaggio petroso, obsoleto, oscuro. Giovanna che nella sua camerata (tutta l’opera si svolge all’interno di questa) con l’onnipresente lettino sulla destra, insceni, per follia, una sorta di rogo, fatto di sedie ammassate e di una croce capovolta, può apparire beffarda. Che irride alla storia, ma anche soprattutto all’eroismo di una figura femminile. Che sicuramente doveva di per se piacere molto e attrarre Verdi. Quel quarantottesco cumulo di arredi, grazie anche alle luci, che raggelano quello che per un attimo era apparso come il vero rogo di Giovanna, riduce a delirio malato un episodio storico. Prendiamoci alla leggera, sembrano voler dire i registi della Scala. Ridiamoci anche un po’ su.

Se ci si allinea a questo motto, allora tutto funziona in “Giovanna d'Arco”. In particolare perché il fronte musicale, coi due protagonisti Anna Netrebko e Francesco Meli, è solidissimo, rodato, smagliante, perfetto. Cantano benissimo, soprano e tenore, in crescendo di sicurezza e emozione. Lei è la star della serata: lo sa, dalla prima nota fino alla fine, quando saltellante va ad acchiappare dietro le quinte (ma entrano da una porta della stanzetta di scena) il trionfante direttore Riccardo Chailly, il maestro del Coro Bruno Casoni e il baritono Devid Cecconi, che in emergenza ha sostituito all’ultimo il titolare Carlos Alvarez. A piedi nudi, sicura nella voce sempre, di smaglianti colorature belcantistiche, Anna-Giovanna domina il ruolo con voce rotonda, accattivante, bellissima. I re acuti fendono come spade la grande sala, lucenti e raggiunti con cascate di note a ghirlanda. Non è al primo 7 dicembre, la Netrebko. Aveva già cantato nel “Don Giovanni” di qualche anno fa con Barenboim. Ma ieri si è conquistata il ruolo di stella assoluta. Grandissima.

Accanto a lei un tenore meraviglioso, di voce brunita, caldo nel fraseggio e appassionato in ogni parola: esemplare Francesco Meli, davvero una lezione di canto la sua alla Scala. Condotta con eleganza e devozione assoluta alla natura specifica del canto verdiano. Dell’esordio fino all’ultima Romanza, con la perla della prima Cabaletta, insidiosa, per il carattere mesto del contenuto e la risoluzione scoppiettante richiesta, il tenore genovese riusciva a comporre un personaggio a tutto tondo. Convince sempre, espugnando col canto quella corazza di figura immaginaria che la regia gli dipinge addosso. Carlo VII infatti viene sempre immaginato come una proiezione delle fantasie malate della ragazza. Lei dal lettino, malata, circondata dai parenti afflitti (in apertura di sipario ci viene un poco il dubbio aver sbagliato opera e di essere al finale di Traviata) crea una visione fantastica: un re tutto d'oro, dalla testa ai piedi, con tanto di mantello e alla fine a cavallo (anche lui d'oro, poveretto) che la salva da un padre oppressivo e ossessivo, col pensiero fisso della purezza della figlia.

Coerente di sicura con una certa morale ottocentesca, ma non certo con le donne dei salotti milanesi che Verdi frequentava. E con le donne che amava. Il momento più spettacolare della serata è rappresentato dalle apparizioni dei diavoloni, grassi e pasciuti, con belle code in evidenza e grandi piumaggi. Rossissimi, conferiscono un tocco di ironia alle ossessioni di Giovanna. Solo lei lo vede, così come solo lei vedrà gli angeli che a sorpresa sbucano dall'alto delle pareti della ca eretta, frante dalla loro apparizione. Altro colpo di scena, nel terzo atto, è la salita della cattedrale di Reims, candida e smerigliata: anche lei riesce a rompere le pareti della stanza, infondata poi da fasci rosso fuoco e esplosioni di cannone, quando con qualche riferimento alla attualità la chiesa francese ripiomba nei sotterranei della Scala, tra fiamme impressionanti. Può ben essere felice di questa prima inaugurazione della Scala, Riccardo Chailly: accolto con sussiego a inizio serata (nemmeno un applauso, come consuetudine obbligata ha chiuso la Sinfonia, che era stata preceduta dal l'esecuzione dell'Inno, in omaggio alle autorità presenti, premier Renzi e sindaco Pisapia in testa) ha raccolto consensi tutto il Teatro, che hanno premiato un'Orchestra in gran forma, con passi solistici eccellenti, e un sonoro, anticato Coro Scala.

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