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Non è facile amare neppure i bambini

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Non è facile amare neppure i bambini

«Che amore è quello che richiede un angelo e non meno di un angelo per concedersi?». Booker, uno dei protagonisti dell'ultimo romanzo di Toni Morrison, Prima i bambini, non ha amato che suo fratello Adam, due anni più grande di lui. L'hanno ucciso quand'era piccolo e da allora nella vita di Booker non c'è stato posto per altro. Anche da Bride - la bellissima Bride dagli occhi che inquietano tutti per la loro stranezza - è scappato dopo la prima lite di una storia che pareva travolgente. «A parte Adam, io non ne so niente dell'amore. Adam non aveva difetti, era innocente, puro, facile da amare». Queste due frasi, pronunciate da Booker sul finire del romanzo, hanno la forza di un'agnizione.

Ma è davvero così? È questo il messaggio della quasi ottantacinquenne Morrison? Forse, ciò che emerge dal suo primo libro ambientato ai giorni nostri, un racconto a più voci (dissonanti) sull'amore e sulla sua aberrazione, è piuttosto che neppure i bambini (vivi) è facile amare.

La violenza in età infantile, subita o provocata, e l'incapacità degli adulti di confrontarsi con le sofferenze dei più giovani e di prendersene cura sono il gorgo in cui vengono risucchiate le vite di tutti i protagonisti. Bride, anzitutto, che da piccola non ha potuto dire ciò che ha visto. Nel romanzo è una ventenne di successo alla guida di una linea di cosmetici, ma quando Booker se ne va si sente tornare il brutto anatroccolo alla disperata ricerca di amore e di accettazione che sperava di essere schiaffeggiato da sua madre per potere almeno sentire il calore della sua mano. La donna però trovava sempre dei sistemi per punirla senza toccare la pelle che odiava. Inorridì, infatti, appena vide la neonata: era nerissima, diversamente da lei che - nella scala di toni sempre più chiari che nell'America di trent'anni fa saliva di pari passo con la classe sociale - era quasi immacolata. Del resto la bisnonna di Bride i suoi figli scuri li aveva abbandonati. Il marito, anche lui quasi “purificato”, le lasciò, dicendosi tradito. Fu così che la madre, superato l'impulso di soffocare il bébé, impose alla piccola di chiamarla «Sweetness», dolcezza, non «mamma», per nascondere la parentela e si impegnò ferocemente a forgiarla, anticipandole tutte le sofferenze e le difficoltà che la vita, secondo lei, riservava ai nati con una tinta tanto plumbea.

È immerso nelle sabbie mobili dell'abuso infantile pure Booker. È una morte atroce quella che «l'uomo più simpatico del mondo» inflisse al piccolo Adam, il giorno che «correva sul marciapiede con lo skateboard al crepuscolo, la maglietta gialla fosforescente sotto i frassini bianchi. Erano i primi di settembre e nulla aveva ancora cominciato a morire. Le foglie d'acero si comportavano come se il loro verde fosse immortale. I frassini continuavano ad arrampicarsi verso un cielo senza nuvole. Il sole aveva iniziato a farsi aggressivamente vivido mentre si accingeva a tramontare. Lungo il marciapiede fra le siepi e gli alberi torreggianti Adam fluttuava, un punto d'oro che percorreva un tunnel ombroso verso la bocca di un sole vivo», scrive Morrison con la sua arte di accordare il paesaggio alla storia.

Sono rimaste intrappolate nelle stesse sabbie anche la collega Brooklyn, l'unica persona di cui Bride si fida, l'inquietante Sofia dagli occhi vecchi come la terra che, dopo quindici anni di carcere dà prova di un'aggressività inumana, e Rain, bambina bianchissima dal passato torbido che solo da Bride si sente compresa. Persino zia Olive è mangiata da un'ombra: sebbene sia stata la madre elettiva di Booker non ha saputo esserlo per sua figlia.

È un romanzo violento e delicatissimo insieme quest'ultimo lavoro della scrittrice, prima afroamericana a vincere il Nobel per la letteratura nel 1993. La sensibilità dello scavo psicologico contrasta con la durezza delle vicende raccontate con parole scarne e dirette e questo alternarsi di comprensione dei sentimenti dei personaggi e freddezza nelle descrizioni di ciò che accade loro spiazza provocando un effetto perturbante e molto commovente.

I protagonisti di God help the child (il titolo originale) saranno tutti destinati a «restare aggrappati a una piccola triste storia di dolore e sofferenza - una qualche ferita o turbamento inflitti tanti anni fa dalla vita al loro essere puro e innocente - ciascuno riscrivendo quella storia all'infinito»? Tutti «alla ricerca di una nobile ragione per fallire o di una qualche profondissima ragione per sentirsi superiore»? No. Non tutti.
Mentre il racconto si dipana attorno a ciò che vide (e non vide) Bride da bambina - motore immobile dell'avvitarsi della vita di questa ragazza e dei personaggi che attorno a lei ruotano - è proprio la fragile Bride che, pur sembrando sempre a un passo dal distruggersi, riesce a non farsi mangiare dal suo passato. E il lettore si rende conto che, quella imbastita dall'ottuagenaria Morrison - da sempre in lotta contro razzismo, conformismo, violenza su donne e bambini - è una storia spietata, ma non disperata.

Toni Morrison, Prima i bambini, trad di Silvia Fornasiero, Frassinelli, Segrate, pagg. 228, € 19.50

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