Cultura

La parodia ci salverà

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La parodia ci salverà

  • –di Guido Vitiello

Poche cose sono illuminanti come una parodia ben fatta. Sentite per esempio questo finto Flaiano, rifatto dal console Paolo Vita-Finzi nella sua Antologia apocrifa, un libro del 1978 che Quodlibet ripubblica a cura di Matteo Marchesini:
B. non è venuto al cocktail che avevo organizzato in suo onore. Eppure non avevo badato a spese: c'erano vari intellettuali, sia pure sfiancati, un critico del New Yorker, un monsignore aperto al dialogo, un fitaurari, un gallerista dell'underground, un metalmeccanico autentico, un marziano di passaggio.
Oppure questo finto Arbasino:
E si può ricordare la sua fuga con una Carlottina del Pezzo o del Balzo da un pranzo in discoteca a Capri forse malamente organizzato da Graziella Lonardi, che peraltro invitò per la prima volta a Roma Andy Warhol.
Capri pullulante di Carlottine, qui c'è del genio parodistico. Ma… un momento, è un Arbasino vero! Si fa il verso da solo? Così pare. L'uomo che ha battezzato i tre stadi dell'intellettuale italiano – bella promessa, solito stronzo, venerato maestro – non ha intravisto il passaggio ulteriore, che è quello dell'autoparodia. Come per i cloni e i cyborg in certi romanzi di fantascienza, dovremo mettere accanto al nome di molti autori un asterisco. Arbasino è ormai un venerato maestro*.

Le belle promesse si presentano già al loro primo apparire come androidi (vedi Diego Fusaro). E non ci sono più i soliti stronzi di una volta; circolano creature come Andrea Scanzi, che è il solito stronzo* quintessenziale. La differenza tra gli originali e i replicanti è nella facilità della loro riproducibilità tecnica. E l'unico modo per neutralizzarli è scoprirne il codice sorgente. Come? Provando a farne la parodia. L'Antologia apocrifa di Vita-Finzi dovrebbe stare nello zaino di ogni cacciatore di androidi culturali.

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