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La sinistra di Hitchens

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La sinistra di Hitchens

L'unica volta che ho parlato a lungo e in privato con il celebre Christopher Hitchens è stata a Roma nove anni fa, partecipavamo allo stesso evento ed eravamo nello stesso hotel. Gli feci notare che ormai lui era diventato molto popolare, grazie ai suoi commenti su vari magazine americani, per i suoi articoli sui giornali di tutto il mondo e per le innumerevoli apparizioni nei programmi tv Usa, dove argomentava in modo brillante su questo e quello con il suo rotondo accento inglese tanto apprezzato dagli ascoltatori americani. Ma lui alzò gli occhi al cielo, come se avessi toccato un nervo scoperto. «Mi detestano», mi disse. E io capii. Voleva dire che la fama nell'anonimo infinito universo è una cosa, ma a lui interessava di più qualcos'altro: l'opinione delle persone nel suo piccolo angolo di mondo. Vale a dire il mondo non troppo popolato e più o meno intellettuale della sinistra americana, il mondo che aveva fedelmente servito per gran parte della sua vita (dopo aver militato in gioventù nella sinistra britannica) evidentemente senza guadagnare nessun tipo di apprezzamento durevole.
Quando lo incontrai la prima volta, più di trent'anni fa, era un editorialista per The Nation, la rivista di sinistra di New York dove sosteneva lealmente gli stereotipi marxisti dell'epoca. Da quelle pagine attaccava ferocemente i dissidenti anticonformisti della sinistra, me compreso. Era un custode dell'ortodossia. Ma col tempo si era evoluto. Negli anni Novanta si batté con magnifica energia per l'intervento militare americano nei Balcani; non glielo perdonarono mai. E poi ci furono gli attentati dell'11 settembre 2001, provocarono in lui una reazione che può essere descritta solo come quella di un vero patriota americano, anche se non aveva ancora acquisito la cittadinanza. Il conformismo di sinistra invece era decisamente antipatriottico, e per lui fu un improvviso shock. Lasciò la rubrica su The Nation e si chiuse la porta alle spalle, per lui deve essere stato difficile. Gli scrittori amano i giornali su cui scrivono. E lui macchiò ancor più la sua immagine sostenendo la campagna per rovesciare il regime di Saddam Hussein – una cosa logica, dal suo punto di vista, dato che Saddam era un tiranno crudele, e che cos'altro deve fare la sinistra se non disprezzare i tiranni crudeli? Ma, ahimè, la sinistra ha molte definizioni. E quindi sì, era detestato.
Era diventato di destra? Un editore ha appena pubblicato con il titolo colloquiale And Yet… quella che sembra essere la prima di molte raccolte postume degli articoli di Hitchens. Un libro che contiene troppi commenti su fatti del giorno e troppe delle sue loquaci e innocue critiche letterarie. Ma ci sono anche molti saggi su temi tipici della sinistra – Che Guevara, George Orwell, il liberalismo durante la Guerra Fredda – e le sue meditazioni patriottiche. Testi che mi fanno pensare che Hitchens abbia semplicemente lasciato la sinistra conformista per passare tra le fila del suo grande nemico: la sinistra liberale e libertaria di George Orwell, Albert Camus e (devo aver fatto questo nome in uno dei nostri pranzi romani) Carlo Rosselli. Che contributo avrebbe dato Hitchens a questa sinistra – l'altra sinistra – se la sua salute gli avesse concesso di vivere di più? Milioni di lettori lo sanno: retorica geniale. Energia travolgente. Talento nello scontro delle idee. Coraggio intellettuale.

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