Cultura

La torre della canzone

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YOLO

La torre della canzone

Californication, Red Hot Chili Peppers, 1999
John Frusciante è tornato. Avvertite Enrico Brizzi. È il 1999 e, grazie alla magia della computer graphic, il chitarrista dei Red Hot Chili Peppers (la prima band al mondo, e ancora l'unica, che ha saputo miscelare il punk col funk e il rock col rap fino a innescare la bomba perfetta) cammina sulla Hollywood Walk of Fame e poi salta su… un asterisco. La California è un immenso videogioco: Tomb Raider, SSX, Resident Evil… il batterista va in snowboard giù per un burrone, Flea è attaccato dagli orsi, Anthony Kiedis nuota tra gli squali mentre eleva il suo peana acido al Golden State, «il confine del globo e della civilizzazione occidentale», l'Eldorado dei sogni più sfrenati, se è vero che «il sole, certo, sorge a Est, ma almeno tramonta nel posto giusto». È un mondo in Technicolor, dominato dall'«hardcore», dal «porno soft» e dai patti faustiani stretti con i migliori chirurghi plastici, dove «i terremoti sono solo l'ennesima buona vibrazione» (tanto per citare i Beach Boys), sulle corde della chitarra di una ragazza, e c'è in giro un manipolo di «spie telepatiche cinesi» che vogliono rubare i tuoi «trip mentali».

C'è tutta la filosofia dei RHCP nella canzone che dà il titolo al loro album più fortunato (quindici milioni di copie!): viaggi allucinanti e propositi di redenzione, romanticismo e tagliente ironia: la californicazione dell'America clintoniana (quello che riceveva le stagiste sotto la scrivania dello Studio Ovale) è in pieno boom, e chissenefrega se Cobain se n'è andato all'altro mondo a sentire «la musica delle sfere»… «Lo spazio» canta Anthony, «sarà pure l'ultima frontiera» (come diceva Star Trek), ma l'ultima frontiera «si prepara in una cantina di Hollywood» e «Alderaan» – il pianeta della principessa Leia di Star Wars – «non è poi così lontano». Benvenuti nel Nuovo Ordine Mondiale.

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