Cultura

Il trasformatore di corpi

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Il trasformatore di corpi

A fine anno i bilanci artistici si stilano volentieri; il 2015 è stato ricco di eventi coreutici indimenticabili, come quel BiT di Maguy Marin, tra i pochissimi metteur en danse, assieme a William Forsythe e ad Anne Teresa De Keersmaeker, «in grado di imprimere», commenta Dimitris Papaioannou, «continue svolte nelle loro ricerche». Il caso dell’artista visivo, coreografo e regista greco, nato ad Atene nel 1964, rientrerebbe in quest’ultima categoria di temerari, se non fosse per una notorietà internazionale, che lui stesso ammette «esplosa sì con le cerimonie per le Olimpiadi ateniesi del 2004» ma soprattutto negli ultimi anni, grazie a Primal Matter, duetto di cui lui stesso è interprete con un collega nudo, - ne abbiamo scritto dall’Olimpico di Vicenza (Il Sole 24 Ore - Domenica, 18 ottobre 2015) evocando il sacro e il profano nell’ottica di Mircea Eliade -, e a Still Life, una pièce proposta dal Crt di Milano, e definita da molti «un capolavoro».

Gioviale, malizioso e con un volto da moschettiere scaltro, Dimitris minimizza. Ci presenta la genesi dei due originalissimi lavori come «sintesi di un lungo percorso artistico, ma soprattutto esistenziale». «A tre anni sapevo già disegnare come un adulto, e mi chiamarono enfant prodige; a sedici, mi organizzarono una mostra personale. Ma io, inquieto, assetato di conoscenza, prima di iscrivermi alla Scuola di Belle Arti di Atene, bussai alla porta di Yannis Tsarouchis, uno dei più famosi pittori greci di allora, e diventai suo allievo».

Nel frattempo, a diciannove anni, il nostro artista cominciò a dedicarsi ai fumetti, al teatro comico e alla danza contemporanea «senza più farne a meno». Nel 1986 fondò una compagnia, l’Edafos Dance Theatre e trasformò uno squat ateniese illegale, in sede-teatro. Senza soldi, né aiuti la piccola impresa ondeggiava in acque procellose, ma incontrò un ancora di salvezza. «Ellen Stewart, la dama del Café La Mama di New York, in viaggio con Min Tanaka, danzatore butoh, notò il mio lavoro e mi invitò in America». Dimitris si trasferì nella Grande Mela, «per studiare danza butoh e contemporanea» ma anche per bussare a un’altra porta, quella di Robert Wilson.

Il regista texano, allora alle prese con The Black Rider, consentì a quel greco curioso di osservare il suo modo di lavorare, e finì per eleggerlo «a suo tuttofare». Forte di quella «mia università teatrale», Papaioannou rientrò in Grecia, riacciuffando l’Edafos Dance Theatre. Tuttavia a trentasette anni, con la responsabilità delle celebrazioni olimpiche da preparare, ebbe bisogno di un altro mentore. Lo trovò in Laurie Anderson: oggi sua grande amica. Lavorando alacremente, ancora da tuttofare ma in prima persona, smise di danzare per allestire spettacoli, molto ammirati da Wilson, come la sua Medea, ripresa sino al 2008, e dirigere interpreti non più sotto l’egida di una compagnia, ma «a progetto». Atene restava e resta la sua casa elettiva. «Rovine e statue classiche, come quelle evocate in Primal Matter, hanno creato la mia identità culturale e persino sessuale, e rimbalzano nella mia immaginazione, anche senza volerlo. Lavorare qui è difficile e stimolante; c’è molta rabbia. Nessuno conosce davvero le potenzialità artistiche vecchie e future di questo Paese. Senza la crisi forse Documenta di Kassel non avrebbe deciso di aprire una sua sede proprio ad Atene».

Papaioannou, causa povertà di mezzi, ha fatto di necessità virtù tornando in scena, nel 2012, dopo un’assenza di dieci anni e proprio nel momento clou del disastro ellenico. Due anni dopo, in Still Life, è di nuovo sul palco e con lo stesso completo nero di Primal Matter, esteso a tutti gli altri sette interpreti. La pièce, ispirata al mito di Sisifo, ma secondo Albert Camus, li vuole intenti a trasportare mattoni, calcinacci e un muro in procinto di sgretolarsi in mille cocci, oppure attraversato con violenza da gambe, anche intrecciate a visi. Il suolo polveroso, ricoperto di macerie, desidera essere sfangato da braccia robuste. Il cielo è velato da un enorme cellophane inquieto e fluttuante tra luci lunari o cinerine.

Dimitris svela che Still Life - valsogli una nuova commissione dal Théâtre de la Ville per il 2017, non riguarda solo Camus e la mitologia, ma anche la percezione visiva. «Volevo scoprire l’effetto di una sigaretta intrappolata in un grande cellophane e mi sono chiesto come potevo catturare il fumo nella plastica, solo allora ho appeso quell’elemento in cielo e ho pensato a una sfera planetaria». Importante per questo coreografo atipico è «mutare ciò che conosciamo in altro: la trasformazione, anche del corpo umano, è fonte di energia artistica». E infatti d’improvviso quel pianeta impalpabile e misterioso s’incendia dal di dentro, e illumina come un sole benevolo la scena scabra. Di lì a poco si assiste pure a un piccolo banchetto: giù dal palcoscenico, tutti gli interpreti sono allegramente riuniti sotto il calore di fiammate luminose. «Bisogna immaginare Sisifo felice, scrive Albert Camus nel suo celebre saggio che ho letto e riletto, per questo si gioisce pur tornando a trasportare mattoni, a sgretolare maschere di cemento; la vita continua in sopportazione». Con un tocco di assurdità: come vuole il sottotitolo del saggio di Camus: Still Life si apre con lo stesso Dimitris seduto su di una sedia che non c’è, e alla fine di nuovo accomodato sul nulla. L’ironia si mescola a un incredibile contorsione delle membra umane, da lui definita «puro illusionismo ottico».

«Ho imparato dal butoh a distorcere i corpi, ma la mia conoscenza nelle arti visive mi consente di creare solo delle finte macellerie fisiche. Non c’è dolore nelle mie gambe spezzate in Primal Matter o nelle collisioni tra arti di Still Life». Qui emergono dettagli anche assai raffinati. Le giacche nere degli interpreti sono tutte marchiate da una mezza luna, quasi un soffio di calce. «Ognuno è replicante di chi si sobbarca il peso di muri e rocce, ma è anche angelo senza più ali. Peso e sogno di leggerezza richiamano una mia prediletta immagine di Magritte». Particolare anche il ruolo della donna, pure portatrice di pesi «è, quasi sempre nel mio teatro visivo e di danza, archetipo mitico; in Still Life ha quattro gambe quando conficcata nella roccia, e un plexiglas semovente davanti a se quando vibra in abito lungo “à la Bausch”. Su di lei si creano effetti di luce sconvolgenti, nati dalla mia passione per Nikola Tesla, lo scienziato serbo sentiva la presenza di oggetti nel buio e vedeva lampi di luce interferire con la visione reale».

Sogni, magie, archetipi, miti greci: tutti riferimenti utili alla confezione di paesaggi esteriori/interiori complessi ma celati da semplicità linguistica. Il segno di Papaioannou è forte in questi tempi ricchi di danza ma non sempre in grado di trasformare la banalità in poesia.

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