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«Inside Out» e gli altri: i 10 migliori film dell'anno

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GRANDE SCHERMO

«Inside Out» e gli altri: i 10 migliori film dell'anno

L'anno solare volge al termine e per gli appassionati è tempo di classifiche: tra le tante, dagli album musicali ai libri, non può mancare una graduatoria dei migliori film usciti nel corso del 2015.

Nella speranza di far discutere, sorprendere e persino polemizzare, ecco la nostra top 10 delle pellicole proposte nelle sale italiane da inizio gennaio a fine dicembre:

1) Inside Out di Pete Docter – Magnifica metafora della fine di un'infanzia come tante, «Inside Out» è un memorabile film d'animazione e (forse) il risultato più significativo mai raggiunto dai maghi della Pixar Animation. La narrazione è un continuo susseguirsi di trovate straordinarie, i personaggi sono ben caratterizzati e le emozioni prendono costantemente il sopravvento, dal riso al pianto. Un capolavoro per grandi e piccini, divertente e malinconico allo stesso tempo, capace di ricordarci un messaggio che spesso dimentichiamo: senza tristezza non si potrà mai conoscere la vera gioia.

2) L'altra Heimat di Edgar Reitz – Ultimo film del monumentale progetto «Heimat», incentrato sulla storia della Germania, che il maestro del cinema tedesco Edgar Reitz ha iniziato nel 1984 e proseguito nel 1992 («Heimat 2»), nel 2004 («Heimat 3») e nel 2006 («Heimat Fragments»). Questa magnifica pellicola, presentata alla Mostra di Venezia nel 2013 e distribuita solo quest'anno, è ambientata a metà dell'Ottocento e si concentra in particolare sul desiderio di emigrazione dei giovani del villaggio di Shabbach. Semplicemente portentoso l'apparato visivo, capace di dare vita a un'esperienza cinematografica impossibile da dimenticare. Un film da mandare a memoria.

3) Vizio di forma di Paul Thomas Anderson – Da un notevole romanzo di Thomas Pynchon, un grande film firmato dal sempre più talentuoso Paul Thomas Anderson, già autore di «Magnolia» e «Il petroliere». Al centro della trama Joaquin Phoenix nei panni di un detective hippie ben poco convenzionale: l'intrigo è degno di un potente noir e l'intera messinscena è di pregevolissima fattura. Da vedere e rivedere.

4) Birdman di Alejandro González Iñarritu – È un'opera torrenziale, caratterizzata da un infinito piano-sequenza (realizzato grazie a tecniche digitali), al cui interno si sviluppano diverse riflessioni interessanti: dal mestiere dell'attore al ruolo dei social network nella società attuale, passando per un ragionamento sul cinema dei supereroi. Le tematiche sono tante (si tocca anche Carver), ma ciò che più conta è abbandonarsi a un flusso audiovisivo ininterrotto, fluido e valorizzato dal lavoro del direttore della fotografia Emmanuel Lubezki e da un nutrito gruppo di attori in grande forma.

5) Foxcatcher di Bennett Miller – La vera storia del multimilionario John du Pont, paranoico e schizofrenico, che nel 1996 uccise il campione di wrestling David Schultz. La vicenda si concentra inizialmente su Mark, il fratello minore di David, anch'egli lottatore di grande successo che, diversi anni prima, entrò a far parte della squadra dei “foxcatcher” guidata dallo stesso du Pont. Più che un semplice film sportivo, l'ultima pellicola di Bennett Miller è una profonda indagine psicologica sulle relazioni umane, siano esse parentali o tra persone di diversa ascendenza sociale. Forte di una rigorosa sceneggiatura, «Foxcatcher» non ha cali per tutta la sua durata (circa 130 minuti) e cresce alla distanza anche grazie ad alcune straordinarie interpretazioni: da un efficace Channing Tatum (Mark Schultz) a un irriconoscibile ed eccellente Steve Carell, nei panni di John du Pont. Un grande film sulla fine del sogno americano.

6) Blackhat di Michael Mann – Dopo aver raccontato la figura di John Dillinger in «Nemico pubblico», Mann segue la storia di un hacker pregiudicato, in licenza dal carcere per identificare e annientare una fitta rete di criminalità informatica che opera a livello mondiale. Ben fotografato da Stuart Dryburgh, «Blackhat» è una potente riflessione relativa alle tragedie, collettive e personali, capaci di mettere in scacco una nazione (il rimando va sempre all'11 settembre) o l'esistenza di un individuo come tanti. Lo stile è ipnotico, ellittico e in grado di affascinare, il ritmo altissimo e alcune sequenze pronte per essere scolpite nella memoria. Il film più sottovalutato dell'anno è un'opera da riconsiderare per quel che si merita.

7) Shaun – Vita da pecora di Mark Burton e Richard Starzak – Dopo il notevole «Pirati! Briganti da strapazzo», i geni della Aardman Animations (celebre casa d'animazione britannica) hanno firmato questa nuova esilarante avventura in stop-motion, capace di coinvolgere dal primo all'ultimo minuto. Se la tecnica è impressionante, quello che più colpisce è una narrazione avvincente, ricca di trovate brillanti e di idee originali. Divertentissimo, è anche un film capace di veicolare messaggi importante. Da (ri)vedere con tutta la famiglia.

8) Kreuzweg– Le stazioni della fede di Dietrich Brüggemann – Uno degli “invisibili” dell'anno, assolutamente da recuperare. Premiato al Festival di Berlino, questo film, diviso in quattordici capitoli che corrispondono alle stazioni della Via Crucis, racconta il sacrificio della giovane Maria, disposta a tutto pur di aiutare il fratellino che, in quattro anni di vita, non ha mai proferito una parola. Lo schema di Brüggemann è di straordinario rigore: solo quattordici inquadrature, una per ogni capitolo, senza stacchi di montaggio, che focalizzano l'attenzione tanto sulle parole quanto sulle (splendide) immagini. Echi di teatro e cinema nordeuropeo (a partire dal danese Carl Theodor Dreyer) per una pellicola che non può lasciare indifferenti.

9) Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza di Roy Andersson – Dopo «Songs From the Second Floor» e «You, the Living», Roy Andersson mette in scena un nuovo lungometraggio dai toni surreali ed esistenzialisti, filosofico e ironico, tragico e grottesco. Come sempre nel cinema dell'autore scandinavo, la commistione di registri funziona perfettamente e dà vita a una pellicola capace di trasmettere le sensazioni più svariate. Semplicemente impressionante l'apparato visivo, in cui tutte le inquadrature (spesso slegate le une dalle altre) sono studiate alla perfezione, composte con cura e valorizzate da un notevole senso della profondità: sono dei veri e propri tableaux vivants ispirati alla pittura fiamminga e, in particolare, all'arte di Pieter Bruegel il Vecchio. Vincitore del Leone d'oro a Venezia 2014.

10) Francofonia di Aleksandr Sokurov – Mescolando con straordinaria abilità documentario e finzione, Sokurov racconta la collaborazione franco-tedesca, messa in atto durante l'occupazione nazista, per salvare i tesori del Museo del Louvre. Da questo soggetto nasce una riflessione che parla (anche) del rapporto tra arte e potere, all'interno di un gioco intellettuale e metacinematografico suggestivo e affascinante. Straordinario lavoro del direttore della fotografia Bruno Delbonnel, capace di assecondare al meglio il simbolismo visivo (l'arte deve superare il “mare del tempo”) del grande regista.

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