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Il «sindaco santo» e le città che «non sono cose…

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Il «sindaco santo» e le città che «non sono cose nostre»

Devo ringraziare Roberto Squilloni, lettore attento del Sole e amico della Domenica che vive a Prato, per avermi suggerito di andare a rileggere lo storico discorso («Le città non possono morire») che il 2 ottobre del 1955 il sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, tenne nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio davanti ai sindaci delle capitali di tutto il mondo: «È la prima volta che un convegno così singolare avviene in questo dopoguerra, e non solo in questo dopoguerra, esso costituisce perciò la immagine viva, visibile del vincolo di unità e di fraternità e di pace che già esiste... e deve tradursi in un atto – fra tutte le città e tra tutti i popoli e le nazioni del mondo – dell’unica, universale, solidale, famiglia umana».

La forza politica e morale del “sindaco santo”, il ruolo della città di Firenze come mediatrice di pace tra Occidente e Oriente. L’inquietudine di vivere tempi dove la minaccia nucleare supera quella degli attacchi aerei per così dire “normali”. Un sentimento mai nascosto di “casa comune” delle città, grandi e piccole, dove è vitale la relazione con l’uomo e dove insieme – tessuto urbano e cittadini – costituiscono il patrimonio da custodire e tramandare. Qualcosa di (molto) profondo che appartiene alle amministrazioni e al senso civico degli abitanti e vale per allora, per l’oggi e per il domani. Tutto questo, e molto altro, c’è o si intuisce in quel discorso di La Pira che appartiene alla storia.

Squilloni mi scrive testualmente: «Direttore, lo pubblichi: lo trovo oggi, più di allora, straordinariamente attuale». Il terrorismo e la paura da vincere, la risorsa immigrazione e le nostre regole da rispettare, la qualità della vita e la questione ambientale, la bellezza di secoli di storia da custodire e l’efficienza dei trasporti, le città sono oggi alle prese con mille emergenze dentro stagioni e fenomeni nuovi. Squilloni, però, ha le sue ragioni perché in quel discorso del “sindaco santo” c’è un patrimonio di valori «straordinariamente attuale» che tocca oggi più che mai la politica e i cittadini, il sindaco, le madri e i padri che non si devono permettere di dilapidare o distruggere ciò che hanno ricevuto e lo devono trasferire, migliorato, ai loro figli. Nelle parole di La Pira ci sono i segni costitutivi civili e la cifra istituzionale di quel linguaggio della vita che ha animato il primo discorso agli italiani del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, e anche questo è un risvolto di straordinaria attualità. Per tutte queste valutazioni abbiamo deciso di pubblicarne, di seguito, uno stralcio e di lasciarlo alle riflessioni del lettore.

«Signori Sindaci, tutto quello che ho detto intorno al valore della città umana, non è stato detto per affrontare i termini culturali di un problema tanto vasto e di tanto peso: è stato detto, invece, per porre la premessa della questione fondamentale che sta alla base di questo Convegno fiorentino. Questione che solo ora, nel nostro tempo, a causa degli strumenti di distruzione connessi con la tecnica nucleare, viene posta nei suoi termini più attuali e più drammatici. E la questione è la seguente: quale è il diritto che le generazioni presenti possiedono sulle città da esse ricevute dalle generazioni passate? La risposta, è chiaro, non può essere che questa: è un diritto di usare, migliorandolo e non distruggendolo o dilapidandolo, un patrimonio visibile ed invisibile, reale ed ideale, ad esse consegnato dalle generazioni passate e destinato ad essere trasmesso – accresciuto e migliorato – alle generazioni future. Usare, migliorare e ritrasmettere la casa comune! Si tratta di una eredità fedecommissaria, direbbero i giuristi romani: le generazioni presenti ne sono gli eredi fiduciari; quelle venture, gli eredi fedecommissari.

Eccoci, Signori, al nodo del nuovissimo e massimo problema, in certo senso, che presenti la storia attuale: problema che è insieme, inscindibilmente teologico, morale, giuridico, politico, militare e storico. Per noi Sindaci, come per i popoli che noi rappresentiamo, la soluzione di questo problema non presenta dubbi di sorta. Le città non possono essere destinate alla morte: una morte, peraltro, che provocherebbe la morte della civiltà intiera. Esse non sono cose nostre di cui si possa disporre a nostro piacimento: sono cose altrui, delle generazioni venture, delle quali nessuno può violare il diritto e l’attesa. Nessuno, per nessuna ragione, ha il diritto di sradicare le città dalla terra ove fioriscono: sono – lo ripetiamo – la casa comune che va usata e migliorata; che non va distrutta mai! Ed eccoci, signori Sindaci, proprio alla radice di questo Convegno singolare: lo scopo cui esso mira sta tutto qui: e cioè nel riscoprire il valore ed il destino delle città e nell’affermare il diritto inalienabile che hanno sopra di esse le generazioni venture: nell’affermare, perciò, che le generazioni presenti non hanno il diritto di dilapidarle o di distruggerle.»

roberto.napoletano@ilsole24ore.com

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