Cultura

La memoria dei neri d’America

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La memoria dei neri d’America

  • –Ugo Tramballi

Al tramonto del suo doppio mandato, a pochi mesi dal diventare un lame duck President, cioè un capo dello Stato dai poteri costituzionali ma privo di orizzonte politico, il primo presidente nero della storia degli Stati Uniti inaugurerà il grande museo degli afro-americani. Il Paese ne ha molti di musei così. Ma questo sarà a Washington, sul Mall di Washington: il parco nazionale dal Campidoglio al Lincoln Memorial, il red carpet della storia d’America.

Ed è lo Smithsonian, il custode e sacerdote federale di questa grande storia, che lo sta realizzando. Dopo molti ritardi, il National Museum of African American History and Culture sarà inaugurato nel settembre 2016, nel tentativo di rispondere a un senso di colpa collettivo ma non ancora interamente condiviso.

È in una posizione prestigiosa, all’angolo fra Constitution Avenue e la 15esima strada: cioè fra l’obelisco del Washington Monument e il Museo di storia americana, con vista sulla Casa Bianca. Cinque acri di parco, un edificio a corona ramato, disegnato dall’architetto di origine ghanese David Adjaye che riprende le forme di un’antica cariatide Yoruba.

Ci sarà una sezione culturale, una dedicata alla storia dei neri d’America, una sezione «comunità» (i soldati, gli atleti, le istituzioni) e una temporanea sui momenti che hanno cambiato l’America o avrebbero dovuto farlo. La prima racconterà il pogrom di Tulsa, 1921: ai bianchi dell’Oklahoma non piaceva che anche i loro concittadini, la prima borghesia nera, si stessero arricchendo col petrolio. Bastarono due giorni di massacri per far sparire quella comunità dalle strade di Tulsa.

La trionfale collocazione del nuovo museo è una specie di risarcimento, nasconde le difficoltà politiche e burocratiche che hanno accompagnato la sua realizzazione. La prima richiesta la fecero nel 1913 i veterani neri di Gettysburg, per il cinquantesimo anniversario della battaglia. Non se ne fece nulla. Significa qualche cosa – forse un ostinato senso di rimozione - se il Museo dell’Olocausto, del quale gli americani non hanno responsabilità, sia stato inaugurato sul Mall nel 1993; quello dedicato ai nativi, gli indiani d’America, nel 2004.

E solo nel 2016 aprirà il museo degli afro-americani: sui 12 milioni 570mila africani deportati nelle Americhe dal 1501 al 1867; sui 41,7 milioni di americani neri di oggi che saranno 74,5 nel 2060.

Fra tradizione e ipocrisia, la schiavitù era ampiamente accettata nella prima società americana. Dodici dei primi 18 presidenti possedevano schiavi. Nella tenuta di Monticello ne aveva 130 Thomas Jefferson, il principale estensore della Dichiarazione d’Indipendenza secondo la quale «tutti gli uomini sono stati creati uguali» e fra i «diritti inalienabili» sono compresi «la vita, la libertà e il perseguimento della felicità». Nel 2012 lo Smithsonian aveva organizzato una mostra che equivaleva a un esame di coscienza: «Slavery at Jefferson’s Monticello: Paradox of Liberty».

I passi successivi alla schiavitù, la segregazione legale e infine la discriminazione quotidiana, non furono e non sono un affare degli Stati del Sud. Martin Luther King sosteneva che il razzismo di Chicago non era meno crudele di quello praticato a Birmingham, Alabama.

«Due società, una bianca e una nera, separate e diseguali», fu la conclusione del rapporto Kerner del 1968, dopo le ribellioni a Harlem, Baltimora, Detroit e Washington.

«Sarà l’ultimo museo sul Mall», spiega John Franklin dello Smithsonian. Fra i monumenti ai caduti della Seconda guerra mondiale, di Corea e del Vietnam - i conflitti del XX secolo - e i musei di storia, scienze naturali, arte e design, delle imprese aerospaziali e degli indiani, non ci sono più lotti a disposizione.

Tuttavia la storia americana continua: che ne sarà dei caduti della guerra al terrore o delle altre comunità sempre più affluenti del Paese? «Infatti ci sono già i progetti per un museo sui latini e le donne», risponde Franklin. «Ma lo Smithsonian che non è responsabile per i monumenti, è già in altri luoghi: a New York, a Panama, nelle Hawaii. Per l’African American avevamo preso in considerazione nove luoghi. Ma lo volevamo sul Mall: alla fine farlo qui è stata una decisione politica», chiarisce Franklin.

Dopo il tentativo dei veterani di Gettysburg nel 1913, ce ne fu un altro alla fine degli anni Ottanta di una coalizione d’imprenditori turistici e deputati neri. Ma furono George W. Bush e un atto del Congresso del 2003 ad avviare la pratica, affidandola allo Smithsonian e a una commissione formata dal vicepresidente degli Stati Uniti, dal capo della Corte suprema, sei membri del congresso e nove cittadini.

La creazione del Museo dell’Olocausto fu piuttosto rapida perché era un’impresa privata: lo Stato fornì solo il terreno. Quello dei neri d’America è federale, come gli altri.

«La gran parte dei musei dello Smithsonian ha richiesto anche più tempo», spiega John Franklin. Dei 540 milioni di dollari necessari, lo Stato ne garantisce la metà, il resto sono donazioni private attraverso una «Campagna per il prossimo grande museo d’America». Per ora sono stati raccolti una cinquantina di milioni, quanto basta per costruire e inaugurare il museo. Non ci dovrebbero essere più ritardi.

Gli altri musei del Paese dedicati ai neri d’America non saranno saccheggiati. «Le nostre collezioni saranno interamente nuove», promette John Franklin. L’abito che indossava Rosa Parks quando nel 1955 fu arrestata a Montgomery per aver occupato il posto su un bus riservato ai bianchi; il cappello di feltro di Michael Jackson, la Cadillac di Chuck Berry, la tromba Selmer di Louis Armstrong, il casco che Muhammad Ali usava quando si allenava nella mitica palestra della quinta strada di Miami Beach.

E poi il Tuskegee, il Boeing PT-130D col quale si addestrò il primo squadrone di piloti neri della Seconda guerra mondiale; la ricevuta di 600 dollari spesi da Wim Mood della contea di Jackson, Arkansas, per l’acquisto di «una ragazza negra di nome Polly, 16 anni».

Giorno più, giorno meno, l’apertura del museo coinciderà con i 153 anni dalla Proclamation Emancipation di Abraham Lincoln: sarà un risarcimento parziale per tutto quello che in America non è accaduto dopo.

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