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Il profeta degli Anticristi

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Il profeta degli Anticristi

Francescano, visionario, conoscitore profondo dei testi profetici, ma anche alchimista (è tradotto dalle Edizioni Mediterranee un Trattato sulla quintessenza), Giovanni di Rupescissa - in francese Jean de Roquetaillade - fu arrestato nel 1349 e trascorse il resto della sua vita peregrinando da una prigione all’altra, sino a quella papale di Avignone, dalla quale fu liberato soltanto poco prima di morire (1366). Tuttavia, la cattività in cui venne a trovarsi non limitò le sue conoscenze; anzi, in carcere Giovanni giorno dopo giorno apprese i numerosi scritti profetici che si erano moltiplicati nell’età di mezzo, li trascrisse, li interpretò e diede vita a un sistema previsionale su quanto sarebbe accaduto alla fine dei tempi.

Comincia alla fine degli anni Venti del Trecento gli studi di filosofia a Tolosa, nel 1332 è novizio francescano, nel 1340 – così narrano le cronache - riceve la prima rivelazione sui significati racchiusi nell’Apocalisse. Un processo per eresia risale al 1346, anche se l’inquisitore non riesce a decostruire l’ortodossia del singolare religioso; nonostante questo il suo ordine, i Francescani, decide di non concedergli la libertà, e lo tiene segregato. Finirà chiuso tra l’altro in un sottoscala del convento di Rieux.

Ora Elena Tealdi offre la prima edizione critica del testo latino dell’opera Vade mecum in tribulatione in cui Giovanni di Rupescissa, in venti brevi capitoli chiamati “intenzioni”, parla delle angustie che stanno per abbattersi sugli uomini e di come sia possibile evitarle, mentre si attende l’inizio dei mille anni di pace preannunciati dal libro dell’Apocalisse. Ricorrendo alle parole di Mathias Flacius, conservate nel Catalogus testium veritatis (stampato a Basilea nel 1556), potremmo definire questo libro scritto in prigione una trattazione profetica, nella quale Giovanni «predisse afflizione e tribolazione imminenti per gli ecclesiastici e indicò chiaramente che Dio purificherà il clero e avrà sacerdoti poveri e pii. E che il gregge del Signore sarà guidato da pastori fedeli e che i beni della Chiesa torneranno ai laici».

L’opera si diffuse con notevole celerità e riuscì ad avere una certa fortuna; fu letta sia in latino che in sette idiomi volgari nei secoli successivi. Diventò la più celebre di Giovanni di Rupescissa e l’edizione di Elena Tealdi si basa su quarantasei manoscritti superstiti. Due introduzioni precedono il testo: una di Robert E. Lerner (in inglese) e l’altra di Gian Luca Potestà dal titolo Il profeta degli Anticristi. Si collega Giovanni a Gioacchino da Fiore e ad Arnaldo di Villanova, soprattutto si pone in evidenza che, superate le cautele precedenti, l’autore del Vade mecum in tribulatione crede di poter determinare «con esattezza il tempo della venuta dell’Anticristo», anzi ritiene sia possibile calcolarne addirittura la data, «attraverso un computo derivato da calcoli giudaici intorno alla venuta del Messia».

Vade mecum in tribulatione
Giovanni di Rupescissa,
edizione critica a cura di Elena Tealdi,
Vita e Pensiero,
Milano, pagg. 332,
€ 30.

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