Cultura

Ama l’ambiente come te stesso

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Ama l’ambiente come te stesso

Sono passati ormai vari mesi dal giugno scorso quando è stata resa pubblica l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco. In questo periodo ho cercato di seguire, anche attraverso le rassegne stampa, il mare mediatico delle reazioni. Una mappatura è praticamente impossibile, ma risulta evidente che il settore più ampio è occupato dalle recensioni ecologico-economico-politiche, per altro giustificate dallo spazio riservato a tali questioni nel documento. Minori e tante volte sfumate fino all’evanescenza spiritualeggiante quelle di impronta più nettamente teologica pur nella consapevolezza del fatto che il secondo e il sesto capitolo sono impostati proprio secondo una simile prospettiva. «Dio ha scritto un libro stupendo le cui lettere sono moltitudine di creature presenti nell’universo», si afferma al n. 85, rimandando direttamente a una citazione di Giovanni Paolo II, ma alludendo anche a un dossier biblico che si muove in questa linea e che fonda l’applicazione dell’“analogia” teologica secondo la quale dal creato è possibile ascendere induttivamente al Creatore. Lapidario al riguardo è il libro biblico della Sapienza, ripreso per altro anche da San Paolo nella Lettera ai Romani (1,19-20): «Dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce il loro artefice» (13,5).

Finora la creazione era adottata in teologia secondo questa prospettiva all’interno di un trattato tradizionalmente ed emblematicamente denominato De Deo creante, oppure essa era assunta in chiave morale e, quindi, antropologica per la cosiddetta «custodia del creato». Un dato, quest’ultimo, rilevante nell’enciclica ma già basilare nella stessa Bibbia fin dalle sue pagine di apertura, spesso fraintese e criticate. Significativo, al riguardo, è il passo di Genesi1,28 nel quale il Creatore si rivolge all’uomo invitandolo a «soggiogare la terra» e a «dominare» sugli esseri viventi terrestri. In realtà, i due verbi ebraici usati esigono una semantica più sfumata e fin suggestiva: kabash-soggiogare originariamente rimanda all’insediamento in un territorio che dev’essere perlustrato e conquistato, mentre radah-dominare è il verbo del pastore che guida il suo gregge. L’uomo, perciò, riceverebbe da Dio una delega che è espressa in Genesi 2,15 con un’altra coppia verbale significativa: il Creatore lo collocò sulla terra «perché la coltivasse e custodisse». Curiosamente i due verbi ebraici usati ʽabad e shamar designano anche il servizio cultico e l’osservanza della legge divina, fondamento dell’alleanza tra Dio e il suo popolo. C’è quindi, un’alleanza sacra primordiale tra creato e creatura umana.

Questa centralità dell’uomo nella visione biblica, se ha il merito di demitizzare la natura riconducendola alla sua realtà immanente e non panteistica e, quindi, di esaltare l’impegno del lavoro e della scienza, ha però tendenzialmente ridimensionato la natura, funzionalizzandola alle finalità dell’uomo. Costui ha dimenticato spesso la sua “fraternità” con la terra, cioè la sua “materialità” ribadita da Genesi 2,7: «Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo…», e si è comportato non da delegato-tutore divino ma da tiranno, al punto tale che la stessa Genesi deve registrare la devastazione ambientale attraverso l’immagine di un panorama stepposo popolato di spine e cardi ed erba selvatica (3,18). Questo antropocentrismo, esasperato da una certa teologia e pratica pastorale, ha sollecitato, col fiorire della sensibilità ecologica moderna, un atto di accusa contro la concezione ebraico–cristiana vista come la causa della crisi ambientale. Capofila di questa denuncia fu Lynn White in un articolo apparso su Science del 1967, tradotto in italiano nella rivista Il Mulino del 1973 con un titolo eloquente: Le radici storiche della nostra crisi ecologica.

Si faceva, tra l’altro, notare da parte di alcuni che nella stessa arte cristiana il paesaggio era solo funzionale al protagonismo umano, a differenza delle stesse azioni, parabole e metafore di Gesù che, pur essendo finalizzate a un messaggio teologico, presentavano una natura e una corporeità dotate di un loro spessore. Molti videro una svolta durante il Rinascimento, ad esempio nell’enigmatica Tempesta di Giorgione ove le creature umane sono incastonate in un paesaggio che risulta prevalente. È interessante notare che nella Teoria della natura attribuita a Goethe (alcuni, però, assegnano il saggio a uno scienziato suo contemporaneo, Georg Christoph Tobler) si osservava che «la materia non esiste né può mai essere efficace senza lo spirito e lo spirito senza la materia». Ora, per ritornare alla teologia cristiana, dopo l’enciclica di Papa Francesco, dovrebbe essere meglio ricomposta la riflessione sul creato, considerandolo maggiormente in se stesso e non come mero scenario dell’umanità. Sant’ Agostino invitava a «venerare la terra», certo senza idolatrarla, ma attribuendole una sua identità.

Superare, dunque, un eccessivo antropocentrismo, senza per questo sminuire la missione umana nel creato e senza cadere in una sacralizzazione del mondo. Già nel 1993 l’Associazione Teologica Italiana aveva pubblicato gli atti di un suo convegno sotto i titolo La creazione. Oltre l’antropocentrismo? (Messaggero, Padova). Importante sarebbe, di conseguenza, inserire nel discorso teologico – sia pure secondo le specifiche epistemologie – temi sollecitati dagli ambiti scientifici, filosofici e socio–economici, come ha fatto lo stesso Papa Francesco. La sua enciclica provocherà, dunque, una serie di riflessioni teologiche più articolate al riguardo, al di là delle prime reazioni generali a cui si accennava, spesso solo parenetiche. Finora dobbiamo segnalare che alcuni teologi, con modalità differenti, hanno già sottolineato l’urgenza di un’ecologia teologica. In Italia si è distinto, a livello metodologico Franco Giulio Brambilla, attualmente vescovo di Novara, che ha abbozzato una Teologia della natura all’interno di un trattato, però, ancora di antropologia. Egli si muoveva sulla scia di due importanti teologi protestanti Jurgën Moltmann e Christian Link, che hanno dedicato testi significativi alla questione. Anche altri avevano intuito la necessità di una revisione teologica nei loro trattati sulla creazione ma senza procedere a una nuova e sistematica progettazione.

Concludiamo con un rimando ancora all’enciclica che, senza elidere la peculiarità e la responsabilità dell’essere umano e senza cadere nella divinizzazione panteistica della natura, dichiara: «Essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile» (n. 89). Potremmo, allora, declinare il celebre precetto biblico dell’amore per il prossimo – come ha suggerito Enzo Bianchi, il priore di Bose – anche in un’altra direzione: «Ama la terra come te stesso».

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