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La Pira, Mattarella e quegli «abiti modesti e rispettosi»

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La Pira, Mattarella e quegli «abiti modesti e rispettosi»

Sono rimasto colpito dal numero e dalla qualità degli interventi che ha suscitato la riproposizione di uno stralcio dello storico discorso («Le città non possono morire») tenuto dal “sindaco santo” di Firenze, Giorgio La Pira, nel salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio davanti ai sindaci delle capitali di tutto il mondo il 2 ottobre del 1955. Hanno scritto di getto donne e uomini di ogni età, laici e cattolici, frati francescani, ognuno ha detto la sua. Sono lettere brevi e meno brevi, ne pubblichiamo di seguito alcune, scusandoci con i tanti che restano fuori esclusivamente per ragioni di spazio.

Molti hanno parlato della straordinaria attualità di quel richiamo alla “casa comune” da preservare, le nostre città, che ha dentro di sé il senso profondo (nobile) dell'impegno politico e disorienta di fronte alle troppe inadeguatezze e alle ruberie dei nostri giorni, ma custodisce anche una specie di esame di coscienza civile collettivo che pone a tutti domande altrettanto inquietanti. Gianluca Caldironi Bellaria, poco più di 45 anni, da Rimini, parla di «abiti modesti e rispettosi» della politica «necessari per scendere nelle piazze e ascoltare i bisogni dei cittadini», fa un confronto tra il discorso storico del “sindaco santo” della metà degli anni Cinquanta e il primo messaggio agli italiani del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dei nostri giorni. Anche qui mi ha colpito, perché torna la forza silenziosa di quel linguaggio della vita che parla alla politica senza citarla e rivela una cifra istituzionale che scuote le coscienze e esorta a cambiare. Accende una speranza.
roberto.napoletano@ilsole24ore.com

Buongiorno Direttore,
ho apprezzato molto la pubblicazione del discorso del sindaco Giorgio La Pira del 1955. A quel tempo io non ero nemmeno nata, ma concordo, le sue parole sono quantomai attuali e il termine della «casa comune» è stato utilizzato anche da Papa Francesco nella sua Enciclica. Dunque che si tratti di città o della Terra, quello che tutti dobbiamo tenere a mente è il rispetto della “casa comune”, non devono morire le città e nemmeno il nostro pianeta.
 Elisabetta Chinellato

Caro Direttore,
lo storico discorso di Giorgio la Pira, da lei riesumato (nel Memorandum del 3 gennaio scorso «Il “sindaco santo” e le città che “non sono cose nostre”», ndr), stimola un sentimento di protezione dove poter cullare le proprie aspirazioni e dove poter parcheggiare i traguardi consolidati, in attesa di essere tramandati alle generazioni future. Simili concetti espressi dal sindaco di Firenze, consentono alle istituzioni simbolo del paese di vestire abiti modesti e rispettosi, necessari per scendere nelle piazze e ascoltare i bisogni dei cittadini. (...) Quindi ben vengano tali riesumazioni di concetti apparentemente ovvi, ma che purtroppo lo sono solo per coloro che ricoprono il ruolo del buon padre di famiglia, il quale ambisce a consolidare il suo generazionale sacrificio al fine di poter presentare un palcoscenico migliorativo alle generazioni future. Chi ricopre ruoli di custodia e sviluppo della res publica, dovrebbe appunto foderarsi di sensibilità “paterna”, necessaria per poter assolvere nei migliori dei modi, un compito così gravoso (...). E il presidente Mattarella, con il suo discorso agli italiani, è come se metaforicamente fosse sceso nelle piazze, e si fosse posto allo stesso piano di noi cittadini, condividendo le ansie che tuttora caratterizzano il quotidiano e minano le fondamenta di un paese ancora oppresso da una miriade di precarietà, accollandosi l'onere di garantire un percorso riformatore contraddistinto dall'alto senso delle istituzioni e foriero di politiche di ampio respiro che raggiungano concretamente le innumerevoli esigenze del Paese. Auspichiamo che i contenuti umani trasmessi dal presidente Mattarella con il suo messaggio di fine anno possano essere interpretati dalla classe politica come un'obbligata ulteriore assunzione di responsabilità esplicabile con una concreta applicazione di devoto senso civico e di radicato rispetto della cosa pubblica, ma ancora di più dovrà prendere piede la condivisione comune di adoperarsi per il bene colletti vo, accantonando il male endemico che ha da sempre sabotato le grandi riforme, cioè il prezzo del consenso politico. Ma il compianto La Pira ci insegna che il prezzo del consenso politico visto in un'ottica di assunzione di responsabilità per il bene comune, non risulta essere un blocco ostativo, ma un premiante stimolo alla dovuta serietà profusa.
– Gianluca Caldironi Bellaria (Rimini)

Caro Direttore,
bella l'idea di pubblicare le parole di La Pira sulla città. Bella e attuale.
Renzo Piano

Caro Direttore,
so no un frate francescano ormai novantenne che conobbe Giorgio La Pira quando lavorava in Segreteria di Stato, segretario dell'allora Sostituto mons. Angelo Dell'Acqua. Conservo del “Sindaco santo” ricordi di profonda amicizia e di grande ammirazione non mancando occasione per parlare e divulgare la conoscenza di questo grande cittadino del mondo e ambasciatore di pace. Penso che la città di Firenze e la stessa Chiesa dovrebbero fare di più per attualizzare a figura di Giorgio La Pira.
padre Marco Malagola, ofm
Gentile Napoletano,
condivido di cuore il suo commento al Discorso di Giorgio La Pira ai sindaci del mondo suggeritole dal lettore pratese. Tanto più oggi che Firenze in scenari ben più tragici si candida a raccogliere l'«eredità fedecommissaria» per riprendere i profetici Colloqui del Mediterraneo a suo tempo promossi dallo stesso La Pira.
Mauro La Spisa

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