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Da Space Oddity a Blackstar, i migliori dieci album di David Bowie

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LA DISCOGRAFIA

Da Space Oddity a Blackstar, i migliori dieci album di David Bowie

Un artista che ha saputo attraversare diverse generazioni, poliedrico e mai banale. Ecco una guida ai dieci album della discografia di David Bowie che sono diventati di culto, compreso l’ultimo, Blackstar, uscito due giorni prima della sua morte.

1) Space Oddity (1969) - “Ground Control to Major Tom ...”. Sono le parole che aprono la title track e il vero inizio della leggenda. Bowie è al secondo album, ancora in cerca di una precisa identità. Ci si muove tra le atmosfere acustiche del Folk, Bob Dylan, spigolosità sonore, prime intuizioni Progressive (alle tastiere c'è Rick Wakeman). Con il tempo si capirà che si trattava dei primi fondamentali indizi di quanto accadrà dopo.

2) The Man Who Sold The World (1970) - David Bowie comincia ad andare verso Ziggy Stardust, si immerge in testi influenzati dalla malattia mentale del fratellastro che da ragazzino era stato il suo mentore musicale e calati in un contesto di fantascienza distopica. Un album di culto.

3) Hunky Dory (1971) - Il primo vero classico, un ponte sospeso tra le durezze distopiche di “The Man Who Sold The World”, il Glam di Ziggy Stardust, l'America di Bob Dylan, Andy Warhol, Lou Reed e i Velvet Underground mentre si fa strada l'esigenza di andare oltre la semplice performance musicale. The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the

4) Spiders from Mars (1972) - Uno degli album che hanno cambiato il corso del rock. In mezzo a titoli come “Starman”, “Rock'n'Roll Suicide”, “Suffragette City” nasce il più celebre alter ego di Bowie, Ziggy Stardust, l'alieno Glam che con gli stivali e le zeppe e i mantelli diffondeva invenzioni rock e ambiguità sessuale.

5) Young Americans (1975) - L'album che chiude definitivamente la fase Ziggy e annuncia la svolta funky-black degli anni a venire. Il singolo della title track finì primo negli Usa. Tra gli ospiti passati in studio durante le registrazioni ci fu John Lennon. Fecero una jam e scrissero insieme “Fame”. Per ringraziare Bowie incise una cover di “Across the Universe” che Lennon definì migliore dell'originale.

6) Station To Station (1976) - L'atto di nascita del Duca Bianco. Smessi i panni di Ziggy, Bowie diventa un'icona di stile, abbandona la teatralità da musical per una messa in scena di intensità brechtiana, ottiene un successo clamoroso e di fatto costruisce la sua immagine futura mentre nella sua musica cominciano a entrare echi del rock elettronico tedesco dei corrieri cosmici, tipo Kraftwerk e Tangerine Dream.

7) Heroes (1977) - Il più celebre capitolo della Trilogia Berlinese, completata da “Low” e “Lodger”. In realtà dei tre è l'unico interamente registrato a Berlino ed è il frutto splendente della collaborazione con Brian Eno. “Heroes”, storia di due innamorati divisi dal Muro, è una delle canzoni più belle della storia del rock, la Trilogia, tutt'altro che di facile ascolto, ha avuto un'influenza capitale sul modo stesso di concepire le registrazioni e gli arrangiamenti di un album.

8) Scary Monster (1980) - Spinto da “Ashes To Ashes”, l'album restituì a Bowie il successo negato alla Trilogia Berlinese. Si torna alla forma rock, seppur con le incursioni soniche della chitarra di Robert Fripp (ma nel disco suona anche Roy Bittan, il pianista della E Street Band), una dichiarazione di intenti nei confronti degli anni del Punk e degli 80's.

9) Let's Dance (1983) - Con la complicità di Neil Rodgers degli Chic (oggi il nume tutelare dei Daft Punk) Bowie svolta verso un'elegantissima soul dance, piazza una serie di singoli da alta classifica e ottiene un clamoroso successo da super star pop che disorienterà i suoi fan e lo manderà in crisi fino a rifugiarsi nelle durezze post punk dei Thin Machine. Questo disco ha dato un'enorme visibilità a Stevie Ray Vaughn, leggenda della chitarra blues che suonerà solo nelle date iniziali del Serious Moonlight Tour, uno dei giri di concerti di maggior successo della sua carriera.

10) Blackstar (2016) - Nel 2013, dopo dieci anni di silenzio, Bowie era tornato a pubblicare un album “The Next Day” che conteneva espliciti richiami alle atmosfere di “Heroes”. Poi ha dato alle stampe il suo testamento, nel giorno del suo 69mo compleanno, due giorni prima di morire. Un disco di una profondità oggi sconosciuta, scaturita dall'idea, avuta insieme all'amico di sempre Tony Visconti, di far suonare dei brani essenzialmente rock a una band formata da alcuni dei nomi migliori del nuovo jazz americano. Il jazz che da sempre è stato uno dei suoi grandi amori musicali scorre come una corrente sotterranea in questi brani che chiudono con bruciante intensità una vicenda artistica e umana che già da tempo è leggenda. E il video di “Lazarus”, con Bowie prima bendato in un letto da ospedale e che poi, ballando come una marionetta, esce di scena chiudendosi in un armadio, un passo d'addio che solo l'attenta regia del caso poteva immaginare.

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