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Bowie, Bolan e gli altri. Le stelle (cadute e non) della…

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POP

Bowie, Bolan e gli altri. Le stelle (cadute e non) della galassia glam rock

E così anche la Stella Nera del Duca Bianco s'è eclissata. Con David Bowie il firmamento rock perde un altro astro – di prima grandezza, sia chiaro - della costellazione glam, quel movimento nato in Gran Bretagna nei primi anni Settanta e presto diffusosi in quel di New York che spiegò al mondo come l'apparenza, nella musica e più in generale nelle arti, spesso e volentieri diventi componente imprescindibile dell'essere. Dandismo in quattro quarti, con buona pace dei talebani dell'essenzialità originaria del rock and roll. Armonie eccedenti, come lo stile di vita che molti protagonisti di quella stagione hanno pagato a caro prezzo. A proposito: che ne è stato degli altri alfieri del genere?

Partiamo da chi non c'è più: il primo ad abdicare fu Marc Bolan, cantante, chitarrista con la Flying V bene in vista, riccioluto ex fotomodello con una certa reputazione nella Swinging London, front leader dei T-Rex, band maliziosa e accattivante come la melodia di «Get it on», avvolgente come il riff di «20th Century Boy». Finì contro un albero di West London, schiantandosi con la Mini guidata dalla sua fidanzata, la cantante soul Gloria Jones, salva per miracolo. Di Bowie era amico: poco prima di morire lo ospitò in una memorabile puntata del suo Marc Show. Il «club» del Duca Bianco, tuttavia, era un'altra cosa.

Il club del Duca Bianco era un triangolo sacro che comprendeva, oltre allo stesso Bowie, due rocker americani di culto negli anni Sessanta e in cerca di autore nei primi Settanta, gente non glam in senso stretto: Lou Reed, poeta maledetto dei Velvet Underground scoperto da un certo Andy Warhol, e Iggy Pop, esibizionista front leader degli scorbutici Stooges, band garage che suonava punk dieci anni prima che lo inventassero. Di loro il Duca era stato un idolo. Con loro il Duca ha diviso il palco, la sala d'incisione e il letto, perché, in fondo, per la scena glam non esisteva una netta distinzione tra le tre cose. Messaggio a tutti gli amanti del rock che il Duca non lo hanno mai digerito e in questi giorni di commemorazione non hanno mancato di sottolinearlo: senza di lui Zio Lou non avrebbe mai realizzato «Transformer», né Zio Iggy ci avrebbe dato «The Idiot» o «Lust for Life». E questi ci sembrano tre motivi più che sufficienti per volere bene al Duca. Quanto alle sorti dei due sodali, Reed lo abbiamo perso poco più di due anni fa, sempre per un cancro, l'Iguana tra un acciacco e l'altro è ancora viva e lotta assieme a noi.

Altri mammasantissima del genere furono i Roxy Music che, oltre all'estetica dandy, ebbero in comune con Bowie l'amore per le sonorità anni Cinquanta e… Amanda Lear (l'ex modella di Salvador Dalì fu amante del Duca e posò per la copertina di «For your Pleasure)». Anche loro, passati i tempi dei grassi bagordi, se la cavicchiano con il front leader Brian Ferry che due anni fa è tornato in sala d'incisione e ne è uscito con «Avonmore», il chitarrista Phil Manzanera, protagonista all'ultima edizione della Notte della Taranta, il sassofonista Andy McKay e il batterista Paul Thompson che viaggiano di collaborazione in collaborazione, nonché quell'eclettico che risponde al nome di Brian Eno sempre pronto a portare un po' più in là l'asticella dell'artisticamente consentito. Sul fronte americano vivacchiano ancora oggi della loro fama degli anni d'oro i New York Dolls mentre i Kiss con ciò che sono stati negli anni Settanta ci riempiono addirittura le arene.

Questo racconto non può tuttavia non chiudersi con un'altra stella fissa di questa galassia, arrivata lassù quasi 25 anni fa dopo aver contratto l'Aids: Farrokh Bulsara, in arte Freddy Mercury, iconico leader dei Queen. Altro compagno di viaggio del Duca, con il quale duettò in «Under Pressure». Guardandosi negli occhi e dicendosi: «Questo è il nostro ultimo ballo/ Questi siamo noi/ Sotto pressione». Questo è ciò che resta dell'epopea del glam e, un pezzo dopo l'altro, se ne sta andando.

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