Cultura

La paura dei morti nelle religioni primitive: riflessioni critiche di…

  • Abbonati
  • Accedi
libri

La paura dei morti nelle religioni primitive: riflessioni critiche di Frazer

Sir James G. Frazer, etnografo e storico delle religioni morto a Cambridge nel 1941 a 87 anni, è noto per l' opera “Il ramo d'oro” uscita a Londra in 12 volumi tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del secolo scorso, ampliata sino al 1915. Di essa, purtroppo, in Italia circola soltanto l'edizione ridotta: questa vasta ricerca resta, anche se criticata, una miniera di informazioni su credenze e magia, su possibili comparazioni di miti, sulla genesi delle superstizioni.

Ora Il Saggiatore ripropone una sua opera, nata da un ciclo di conferenze tenute tra l'inizio del 1932 e la fine del 1933: “La paura dei morti nelle religioni primitive” (pp. 350, euro 18). Questo libro, già pubblicato da Longanesi nel 1959 (nei compianti “Cento Libri”), contiene riflessioni preziose su quella parte di umanità che “ostenta una rispettosa attenzione verso i suoi parenti morti riconducendo le loro anime in casa e istallandovele, dopo aver sepolto e bruciato altrove il loro corpo”. Per Frazer l'atteggiamento “dell'uomo primitivo verso gli spiriti, anche quelli della sua famiglia, è di paura”; egli cerca, similmente a tanti uomini “evoluti”, di fare il possibile per ricacciarli e tenerli a distanza.

Innumerevoli gli esempi ricordati. Se, per esempio, una certa popolazione crede che sia il fuoco - per altre potrebbe essere l'acqua - a frenare il percorso dello spirito dello scomparso, Frazer riporta il caso degli jakuti (oggi sono nella Repubbliсa Sacha della Federazione Russa, con alcune estensioni) che dopo aver seppellito i propri defunti il giorno del decesso, per evitare che il demone della morte li segua a casa, accendono fuochi sulla strada del ritorno e vi passano in mezzo. I Sikkim (oggi sono uno Stato federato dell'India), invece, dopo i funerali si immergono in un fiume e fanno un bagno di purificazione; tuttavia, rientrando a casa, posano i piedi su un pezzo di stoffa che brucia: impediscono in tal modo ai cattivi spiriti di seguirli entro le mura domestiche.

I casi narrati sono infiniti e vale la pena ricordare gli indigeni del Queensland che piegano le gambe al defunto e le legano al corpo. Credono così di impedire allo spirito di uscire dalla tomba e di molestare i vivi. O ancora le popolazioni di lingua baila della Rhodesia settentrionale: disprezzano i morti che non hanno avuto figli e, prima di seppellirne il cadavere, recidono i mignoli delle mani e dei piedi e introducono un pezzo di carbone nel pugno. Intendono, forse, impedirne la rinascita.

Molte usanze saranno anche tramontate ma, come si suol dire, tradizioni e pregiudizi sopravvivono travestendosi. Oggi, nel mondo globalizzato, talune credenze possono ritornare. Improvvisamente. Tra noi.

James G. Frazer
“La paura dei morti nelle religioni primitive”
Il Saggiatore
pp. 350
prezzo 18 euro

© Riproduzione riservata