Cultura

Tracciare il crimine nazista

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Tracciare il crimine nazista

  • –Flavia Foradini

«In giro per Berlino avevo visto diverse “pietre d’inciampo” dell’artista Gunter Demnig e guardando quelle placchette di ottone nel selciato davanti a condomini e ville, con incisi i nomi di chi vi era vissuto prima di essere strappato via alla volta dei Lager, decisi di appurare chi, nella mia strada, fosse stato perseguitato dai nazisti. Mi procurai il Gedenkbuch Berlins - 1.500 pagine con 55mila nomi di ebrei berlinesi deportati -, ma rimasi deluso dal fatto che fosse in ordine alfabetico per cognome. Così decisi di creare una banca dati, scansionai pagina per pagina, mi procurai un software per il riconoscimento del testo e riuscii a ordinare i dati strada per strada. Il risultato fu che in quel modo, improvvisamente, ti si ricreavano davanti agli occhi interi nuclei famigliari, vissuti allo stesso indirizzo. Provai a tracciare mappe concrete della Metzerstrasse nel quartiere berlinese di Prenzlauer Berg e feci lo stesso per il settimo distretto di Vienna, quando vi tenni una conferenza TEDx, “Never forget where you live”, sul nostro progetto».

A dirmelo una decina di anni dopo aver dato il via a quell’iniziativa oggi diventata «Tracing the Past», un’associazione non-profit che compie ricerche sull’Olocausto, è Roderick Miller, americano trapiantato a Berlino. Attorno a lui si è raccolto un gruppo di storici, ricercatori, archivisti, operatori informatici, che nel frattempo ha aggregato in «Tracing the Past» banche dati tedesche, austriache, francesi, polacche, olandesi, a cominciare dal censimento che nel 1939 obbligò i cittadini del Terzo Reich a dichiarare l’appartenenza “razziale” di tutti e quattro i nonni, aprendo così la strada a mirate vessazioni, confische, deportazioni.

«Tracing the Past», che ora passerà a creare mappe interattive delle città con i dati fin qui raccolti, è solo una delle ultime fra le numerose iniziative che nella capitale tedesca cercano di salvare documenti e ricordi sfocati da oltre sette decenni di Storia.

Il primo Gedenkbuch Berlins venne pubblicato nel 1995.

La prima pietra d’inciampo, l’artista berlinese Gunter Demnig la posò nel 1997, nel popolare quartiere di Kreuzberg, mosso dalla convinzione che un essere umano venga dimenticato quando se ne scorda il nome.

Oggi, nonostante accoglienze talvolta conflittuali da parte degli abitanti dei luoghi prescelti per collocare quei micromemoriali, 55mila sanpietrini sono stati posati in oltre mille città tedesche e in 20 Paesi europei e il programma è tuttora più che mai fitto, come constata lo stesso Demnig: «Possiamo posare 440 pietre al mese. Le prossime date libere sono ad agosto del 2016». Dal 2013, ancora una volta a Berlino, Demnig ha dato il via pure alle «soglie da inciampo», anch’esse di ottone e della larghezza di un metro, da porre all’entrata di luoghi in cui una moltitudine di vittime soffrì le persecuzioni naziste.

Un imponente work in progress, quello di Demnig: una caratteristica che accomuna la maggior parte delle iniziative di ricerca sulla Shoah e che fa dell’interconnessione e dell’internazionalità un elemento costitutivo per così dire genetico. Del resto i discendenti delle vittime dei massacri nazisti o i sopravvissuti, si sono sparsi nel mondo, rimuovendo a lungo i troppo dolorosi ricordi. Ora però, in una moltitudine di siti e naturalmente sui social network, una collaborazione senza frontiere contribuisce a ricostruire il puzzle di quell’epoca micidiale, riuscendo ad illuminare anche le storie di quartiere e di strada appunto, come la banca dati «Geraubte Mitte» (Centro razziato) che nel centro storico di Berlino individua uno per uno gli edifici di proprietà di ebrei, confiscati o sottratti tra il 1933 e il 1945: oltre 200, su un totale di un migliaio di lotti.

«I memoriali fisici riguardano spesso indistintamente un gran numero di persone - ci dice ancora Miller -. Le pietre d’inciampo, che pure hanno un valore simbolico molto elevato, ad oggi riescono a ricordare statisticamente una minima percentuale della popolazione sterminata dai nazisti. Con i mezzi informatici ora a disposizione, e intersecando banche dati, è invece possibile continuare a migliorare rapidamente la memorializzazione di immense quantità di informazioni, dando profili via via più precisi alle vittime e alle loro vite. Con questi progetti è possibile anche penetrare settori ancora trascurati, come quello dei sopravvissuti, o di difficile tracciamento, come il campo della restituzione di beni razziati, o ancora aiutare semplicemente chi sta compiendo ricerche sulla genealogia della propria famiglia. Del resto - prosegue Miller - c’è bisogno di quanti più apporti possibile, perché è un fatto: molte delle istituzioni pubbliche che si dedicano a queste ricerche mancano di personale e di fondi, e ancor oggi Paesi che collaborarono attivamente con il nazismo non hanno neppure iniziato a portare un po’ di luce in questo buio capitolo della loro Storia».

I numerosi memoriali dell’Olocausto sorti negli ultimi decenni e che costellano Berlino, da quello vicino alla Porta di Brandeburgo, praticabile in tutti i suoi 19mila metri quadrati, a quello per gli Omosessuali, per le vittime Rom e Sinti, per i bambini che si cercò di far fuggire all’estero per sottrarli alla deportazione, e da ultimo quello per le vittime dei programmi nazisti di Eutanasia, sono al tempo stesso un fondamentale monito urbano e un invito al raccoglimento, non importa se religioso o laico.

Ma le banche dati collaborative, immateriali eppure così incisive, sembrano in grado di ottenere risultati là dove le ricerche sul campo faticano a produrne, e paradossalmente possono riuscire a materializzare le ancora sconosciute, smisurate “tombe nell’aria”, così efficacemente immaginate da Paul Celan nella sua Fuga di morte come estremo e inquieto riposo di vittime prive di un sepolcro dove essere ricordate. E anche il turbamento di scoprire con un clic che nel proprio confortevole condominio di primo Novecento, l’appartamento accanto era abitato da una famiglia che venne deportata e non tornò mai più, può aprire nuove vie verso la riemersione della memoria, annichilita per sette decenni, di luoghi e persone disperse nel fumo dei camini di un qualche Lager.

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