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Scandaloso sperimentatore

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Scandaloso sperimentatore

  • –Giuseppe Scaraffia

La sera, verso le dieci, tutte le luci della casa di campagna di Émile Zola si spegnevano, tranne la sua. Lo scrittore continuava a leggere fino a notte alta. Il denso silenzio veniva interrotto solo dallo sferragliare dei treni notturni. Allora Zola posava per un momento il libro e ascoltava meditabondo l’eco del progresso. Quel muggito meccanico l’aveva sempre impressionato e nel 1889 aveva cominciato a documentarsi come al solito per scrivere un romanzo ferroviario, La bestia umana, oggi ripreso nel terzo tomo dei Meridiani a cura dell’esperto Pellini. Doveva racchiudere il rumore del telegrafo, il suono dei campanelli, il fischio delle locomotive e il frastuono dei vagoni lanciati nella campagna. Insieme a un ingegnere delle ferrovie aveva ispezionato un deposito, aveva percorso la linea Parigi-Nantes e aveva esplorato la stazione Saint-Lazare. Zola confessava di avere considerato «la ferrovia come un essere vivente». Sulla locomotiva fremente, c’era «più aria, più spazio» e «la testa sembra svuotarsi».

Quella sussultante epopea doveva mettere a confronto le torbide passioni di un’umanità ancora arretrata con la sconvolgente potenza della tecnica, la velocità della tecnica e la lentezza della società. Il protagonista, il conducente Jacques, esce da una famiglia, i Rougon-Macquart, piena di tare ereditarie. Apparentemente normale, i suoi istinti omicidi si scatenano negli incontri amorosi generando un cupo intreccio poliziesco. «Non ci sono mai stati tanti massacri in un solo volume!», aveva commentato uno dei tanti critici perplessi.

Ma Zola era abituato a dare scandalo per i motivi più diversi, come quando davanti al tribunale l’anarchico Émile Henry, autore di due attentati dinamitardi, aveva citato le parole di un agitatore di Germinal: «Tutti i ragionamenti sull’avvenire sono criminali, perché ostacolano la distruzione pura e semplice e intralciano la marcia della rivoluzione». Intervistato in proposito, Zola aveva dichiarato che sicuramente l’anarchico doveva avere letto il romanzo in carcere, dopo avere compiuto le sue imprese, perché i rivoltosi di solito leggono poco.

Sempre considerato un atto d’accusa contro lo sfruttamento, Germinal è in realtà venato di dubbi e timori sull’imminente rivolta delle masse. La preparazione sembrava sommaria, i capi inaffidabili. «Chiamatelo nichilismo, socialismo o anarchia, è innegabile. È un’evoluzione in atto che ci porterà Dio sa dove!».

Zola aveva dovuto farsi coraggio per scendere cinquecento metri sotto terra nel primitivo montacarichi di una miniera e poi percorrere una galleria che le lanterne riuscivano appena a illuminare. Soprattutto se, come nel suo caso, quello di trovarsi in un sotterraneo buio era un incubo ricorrente. Meglio la visita alle baracche dei minatori sommariamente arredate e riscaldate. I lavoratori abitavano in ghetti miserabili disprezzati dal resto della popolazione. L’isolamento, la promiscuità, la miseria e l’alcolismo rendevano ancora più terribile la situazione. La giornata di lavoro era almeno di dodici ore e gli operai dovevano svegliarsi alle tre del mattino. Poi iniziava la discesa sotto la superficie, a volte molto lenta per le distanze da coprire.

L’ispirazione gli era venuta da una serie di scioperi iniziati cinque anni prima, nel 1880, e moltiplicatisi negli anni successivi, malgrado le repressioni feroci. Quando scoppia lo sciopero di Germinal presto si tinge di sangue per l’intervento dell’esercito. Ma è solo l’inizio di una lunga guerra. «Spuntavano degli uomini, un esercito nero, vendicatore, che germogliava lentamente tra le zolle, crescendo per il raccolto del secolo futuro, la cui germinazione avrebbe fatto presto scoppiare la terra».

Gli amici erano stupiti dall’instancabilità con cui Zola passava da un libro all’altro. Quando uno dei loro si era lamentato con lui della noia della vita, aveva replicato: «Perché non ti dedichi a un’opera? Ti assicuro che, nel niente che ci circonda, è ancora l’inutilità più appassionante». Nel 1887 era uscito un nuovo libro di Zola, La terra, destinato a fare scandalo. Aveva iniziato a raccogliere il materiale nel 1884. Per farlo, aveva spiegato al diarista Goncourt, doveva fare un soggiorno tra i campi insieme alla moglie. «Tutto quello di cui abbiamo bisogno sono due letti in una camera imbiancata a calce, e, ovviamente, di mangiare alla tavola del fattore... altrimenti non potrei sapere nulla».

Senza trascurare la crisi agricola che, iniziata nel 1880, dove concludersi solo nel 1895, si era concentrato sul tema della proprietà privata. La molla della vicenda, un padre che rinuncia ai suoi diritti e li suddivide tra i figli in cambio di un vitalizio, scatena l’avidità, le prevaricazioni e gli istinti omicidi degli eredi.

Il risultato, uno dei romanzi più violenti di Zola, aveva sconvolto l’immagine bucolica del mondo contadino, cui il pubblico era stato abituato dai libri di George Sand. Molti inoltre erano rimasti scandalizzati dalle minuziose descrizioni degli accoppiamenti umani e animali. «Ho spesso dichiarato, aveva replicato Zola, di non capire, in arte, la vergogna che viene legata all’atto della generazione. Così ho deciso di parlarne liberamente e semplicemente come del grande atto che genera la vita». Cinque giovani del movimento naturalistico l’avevano attaccato con un violento manifesto. Se in Francia La terra era stato accusato di oscenità, in Inghilterra l’anziano editore era stato condannato a tre mesi di carcere. Ma Zola non si sentiva in colpa. Non pensava che i libri fossero fatti per tranquillizzare o per rasserenare. A un giornalista che gli chiedeva: «Perchè lei presenta solo dei mostri?», aveva replicato: «Non sono dei mostri, sono così. Non esistono persone perfette, nè in città nè in campagna, a meno di inventarle, cosa che non potrei fare. So di non essere consolante, ma non ho fatto questo romanzo per esserlo. Servo solo la verità e non mi preoccupo di soddisfare o di tranquillizzare. D’accordo, sono pessimista, ma è un errore?».

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Émile Zola, Romanzi , terzo volume, a cura di Pierluigi Pellini, traduzione di G.Bogliolo, D.Feroldi e D.Gibelli, Meridiani, Mondadori, Milano, pagg. 1900, €.80,00