La scritta DECONSTRUCTING FERRARIS annuncia la presentazione del volume Ermeneutica, estetica, ontologia. Si nota subito che molti caratteri della scritta sono incompleti. Eppure, per i partecipanti al convegno, è facile capirla. Se invece togliete le due iniziali: ECONSRTRUCTING ERRARIS, la scritta diventa incomprensibile, a meno di non aver già letto la versione completa. Si possono modificare le singole lettere, ma non si può togliere la lettera iniziale. Questo fatto ci introduce a una questione trattata a lungo nel libro: che cosa è modificabile (emendabile nel lessico filosofico di Ferraris) e che cosa non lo è?
Il 1° aprile 2001 i cinesi costrinsero un aereo spia americano ad atterrare in Cina. I giornali titolarono: «Mistero sulla sorte dell’equipaggio». I cinesi aspettavano e negli Stati Uniti la preoccupazione cresceva. Poi, sollievo, i cinesi restituirono equipaggio e aereo. Nel frattempo l’avevano fatto a pezzi ripercorrendo, a rovescio, il lavoro di chi aveva progettato e costruito quel gioiello tecnologico. Lo stesso si può fare con i processi che hanno contribuito a creare quella scritta. L’evoluzione darwiniana ha costruito il funzionamento del sistema visivo e un cervello capace di trasformare segni in significati, l’evoluzione culturale ha prodotto l’alfabeto e la parola della lingua inglese, un grafico, lo svizzero Adrian Frutiger, ha inventato nel 1975 i caratteri della scritta, un altro grafico li ha modificati.
Molte discipline contemporanee funzionano così, cercando di ricostruire le origini di qualcosa di cui non conosciamo il progetto, come hanno fatto i cinesi con l’aereo. Alcuni processi possono essere stati molto lunghi ed essersi evoluti in assenza di progettisti, come nel caso della terra e degli esseri viventi, altri invece hanno avuto un creatore, come nel caso di Adrian Frutiger. Si tratta comunque di sfide affascinanti che avvicinano le attività degli studiosi al lavoro di un investigatore che arriva sulla scena del delitto a cose fatte e che deve risalire ai precedenti di tutta la vicenda. Il processo di ricostruzione procede spesso con il confronto e lo scontro tra le varie interpretazioni, e non si è mai sicuri che un’interpretazione sia quella definitiva.
Tutto ciò appassiona e conduce erroneamente a credere che tutto dipenda dai diversi punti di vista. Ferraris lotta contro questa credenza diffusasi secondo l’assunto di Nietzsche: non ci sono fatti ma solo interpretazioni.
Il grande successo delle scienze nel secolo scorso, prima lo studio della materia e poi quello del vivente, ha contribuito al fascino della coppia apparenza-realtà o meglio, della scoperta della realtà dietro le apparenze. Alla caccia di un pubblico, le scoperte scientifiche sono raccontate appoggiandosi allo slogan che la realtà non è quello che ci appare. I media scelgono spesso questo schema per stupire e, quasi sempre, è così che divulgano le scienze. Un caso classico nel mio ambiente: ti svelo come il cervello produce i processi mentali secondo meccanismi per te misteriosi. È quello che sta dietro che conta, non quello che sta davanti. Questo non vale per tutti. Il primo ambiente scientifico che ho conosciuto, a Padova e a Trieste, dove tutti allora studiavano la percezione visiva, esaltava lo studio delle apparenze come unico terreno saldo di certezze. C’è molto di vero in questa tesi che, a Trieste, il giovane Ferraris conobbe bene.
Circa un secolo fa Katherine Mansfield, in un bel racconto intitolato Psicologia, presentava la scena letteraria come una competizione tra la nascente psicoanalisi e i giovani scrittori. Lei a Lui: «Vuoi dire che credi che ci sia davvero la possibilità che le misteriose creature inesistenti – i giovani scrittori d’oggi – stiano semplicemente tentando di scavalcare gli psicoanalisti appropriandosi del loro terreno?». Iniziava allora l’era delle interpretazioni. Poi, le forze congiunte delle scienze naturali e delle arti hanno decretato il successo della caccia ai processi che stanno dietro le apparenze. Ferraris lotta contro lo slogan «tutto è interpretabile», seguendo così Ludwig Wittgenstein. L’imperativo del filosofo austriaco è: «Ciò che è nascosto non ci interessa» (par. 126 delle Ricerche filosofiche).
È sulla superficie delle cose che si appoggia la realtà condivisa, immodificabile, quella che è indipendente dal soggetto e che, essendo oggettiva, permette descrizioni condivise. Lo studio di ciò che appare è divenuto sempre più interessante perché le scienze sono state costrette a impoverire la descrizione delle superfici pur di poter scavarci sotto. Il prezzo da pagare per costruire modelli matematici del mondo, dalle scienze naturali fino all’economia, è proprio l’eliminazione della nostra esperienza diretta e di ciò che rende questo mondo ricco, variegato e affascinante. Quando con una vanga scavi sotto terra, per arrivare alla solida roccia su cui poggia il prato, la bellezza dell’erba, i profumi e i colori dei fiori vanno persi per sempre.
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