Cultura

I nostri valori messi a nudo

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I nostri valori messi a nudo

Leggere l’accorata invettiva, l’Ahi serva Italia di Wole Soyinka, è come guardare una di quelle cartine del mondo che mettono l’Africa sopra all’Europa; ci vien fatto di chiamarle cartine “rovesciate”: ma con quale fondamento? Per poter giudicare dovremmo situarci da un punto di vista superiore, che ci imporrebbe di rinunciare a pensare di essere sempre e comunque i depositari di un messaggio morale che altri dovrebbero imitare – e chissà se ci riescono. Soyinka, scrittore nigeriano, ricorda all’Italia quello che l’Italia non riesce a ricordare a se stessa, ovvero che ci sono dei valori irrinunciabili, intrinseci, tanto più vitali in quanto da un lato il loro riconoscimento è stato il frutto di una conquista lunga e faticosa (come sostiene Paolo Flores D’Arcais nel suo ultimo pamphlet La guerra del Sacro, recensito a pagina 26), e in quanto, d’altro lato, c’è sempre il rischio che vengano obnubilati.

Sulla materia del contendere sono già colati fiumi di tweet. Il miglior riassunto lo ha dato Gloria Origgi sul «Fatto Quotidiano» qualche giorno fa: vedere nel nudo delle statue classiche un oggetto di censura preventiva significa oggi considerarle alla stregua di un giornaletto o di un sito pornografico; buone tutt’al più a solleticare pulsioni occasionali, non a celebrare la bellezza e l’armonia incarnate nelle proporzioni del corpo umano svelato. Come si è arrivati a tanto? A dimenticare noi stessi, a non riconoscere la differenza? Certo, la nostra percezione delle immagini artistiche del corpo non è disincarnata; come sostiene David Freedberg ne Il potere delle immagini l’eccitazione davanti alla sensualità del corpo esibito in una statua o in un dipinto non è un elemento anodino o soltanto accessorio della contemplazione dell’opera d’arte “alta”. Ma non è nemmeno l’unico elemento.

Il presente è ricco di spunti politici, le nostre antenne sono tese a interpretare i segnali anche più flebili. Ma non credo proprio che si debba parlare di capitolazione di fronte all’episodio delle statue occultate, per quanto si tratti di un segnale molto saliente. Perché vi sia capitolazione, dev’esserci il passaggio da un prima a un dopo, e in particolare da un periodo o uno stato di valenze positive a una condizione di negatività, dal valore sempre e ovunque al disvalore sempre e comunque. Mi sembra che la realtà sia assai meno discontinua. Le radici cialtrone dell’Europa convivono da tempo con la sempre più rarefatta immagine dei classici che vorremmo erigere a modello per il comportamento dei nostri vicini geopolitici (e perché no, dei nostri zelanti soprintendenti quando si producono atti bizzarri come coprire le statue con immense foglie di fico cartonate). Ora, raccontare a noi stessi l’Europa come faro, luce, modello, può essere utile, per esempio a catalizzare l’attenzione e farci por mente un po’ di più al nostro operare. Cercare nemici culturali esterni, etichettarli come nuovi barbari (i talebani, ma se capita anche gli “americani”), può servire a un serrate i ranghi! delle belle arti e a ridefinire una politica per l’istruzione. Sondare la storia alla ricerca di immagini e narrazioni edificanti, immerse nella luce solare delle città greche, può spronarci a imprese generose e coerenti che ci portino al di là della faticosa e disordinata gestione dell’oggi. Tutto fa. Ma tutto fa anche perché la cialtronaggine trova le sue strade con estrema efficacia: disattenzione, pigrizia, inerzia e trascuratezza la aiutano oggi come l’hanno aiutata ieri e l’aiuteranno domani.

Più che il contenuto valoriale della statuaria antica, o delle tragedie di Sofocle (trasgressive, vi si parla addirittura di incesto) che incarnano una concezione statica dei valori – scolpiti nel marmo, a volte sepolti, ma pur sempre lì, da qualche parte, a far parte di un “noi” che definirebbero una volta per tutte – vorrei allora spezzare una lancia in favore di una concezione dinamica. I valori che ci definiscono oggi sono stati resi visibili nella battaglia per la conquista dei diritti che li consacrano, e questi diritti sono stati letteralmente strappati con lotte lunghe e dall’esito sempre incerto a rentiers di varia foggia e estrazione: nobili, padroni, chiese, apparatchik, autoproclamati depositari della tradizione, tutti bravissimi a orchestrare la pigrizia e l’inerzia di cui sopra. Le statue greche e romane c’erano anche durante i secoli bui della storia europea, ma era come se fossero invisibili. Ci voleva uno sguardo moderno per riportarle alla luce, fisicamente e in spirito. E questo sguardo nacque un po’ per caso quando si scoprì che un certo metodo nell’affrontare i problemi, il metodo scientifico, cominciava a dare i suoi frutti, in modo cumulativo, a cascata e a poi a valanga, diventando inarrestabile, creando una nuova ed inedita normatività. Tra gli ingredienti di questa normatività ci sono la pazienza e il rigore, il dubbio, la critica, l’accogliere l’altrui opinione perché potrebbe aiutare a comprendere cose che non capiamo ancora, la richiesta di buoni dati e buoni argomenti, la ricerca dell’accordo su come valutare gli uni e gli altri. Questo per dire che è una normatività complessa, comunque difficile da insegnare e propagare, e il cui successo sociale e storico è probabilmente dovuto non a ragioni intrinseche ma al successo dei suoi risultati, ricadute tecnologiche e sulla qualità della vita in primis. Il che ne fa, ovviamente, una normatività fragile. Abbiamo forse qualcosa di meglio da proporre?

Quindi, è vero quello che dice Soyinka, c’è nell’aria confusione e spirito di rinuncia, e queste sono sicuramente endogene, quale che sia il movente occasionale della loro manifestazione, come l’anticipazione zelante all’arrivo delle autorità di uno Stato conservatore. Direi però che non sono solo le statue classiche nei musei ad essere minacciate, ma anche l’insegnamento della teoria dell’evoluzione, i diritti dei lavoratori, le pari opportunità, la libertà di espressione, il matrimonio omosessuale. E non c’è bisogno di scomodare la visita del capo di Stato ultraconservatore, mi pare, per ricordarci che si deve fare di più per tenersi stretti e promuovere i valori qui in gioco.

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