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Il pop surrealismo di Kenny Scharf: «Vi mostro la mia caverna…

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Il pop surrealismo di Kenny Scharf: «Vi mostro la mia caverna cosmica»

“Io lo chiamo Surrealismo Pop Astratto. Il mio stile è una fuga pericolosa dalla realtà. Per me rappresenta l'evoluzione dell'uomo, il non cedere all'acquario tout court, non diventare un ‘pesce nell'acqua'. Ho attraversato la scena artistica della Downtown New York a colpi di fantascienza e navicelle futuristiche. Oggi guardo alla pop art degli anni Cinquanta e Sessanta con lo stesso sentimento etilico: uno splash di colore, irriverenza e parecchia meraviglia infantile”.

L'incontro con il pittore e scultore Kenny Scharf accade come un gioco di prestigio nel cuore di Culver City, in una casa funky che pare ormai la tela definitiva di quello che è considerato l'ultimo anello di fuoco della gang composta da Keith Haring, Jean-Michel Basquiat e John Sex. Scharf ha esposto al Whitney Museum of American Art, al MOCA di Los Angeles, e allo Stedelijk Museum; tra le gallerie che più lo hanno sostenuto, quella di Edward ed ora di David Totah, che spiega: “Kenny è un artista che fa parte della nostra famiglia. La mia galleria, collocata nel Lower East Side di Manhattan, oggi respira la sua arte come se si trattasse di una leggenda delle street art degli anni Ottanta. E tale è. Mio zio gli dedicò una mostra a Londra, io proseguo nella stessa direzione con vent'anni di esperienza nel ramo del collezionismo e dell'arte in sé”.

Il processo creativo di Scharf non è mai mutato in trent'anni, spiega l'artista: “Bulbi, microbi, dischi di caramella: tramite i simboli che toccano il bambino che è in noi, racconto il sogno americano e ne estraggo gli incubi più maturi. Dal sesso all'ossessione per la velocità. Dal potere a quel che succede nella vita domestica di tutti i giorni”. Uno dei primi articoli che gli sono stati dedicati recitava “Jetsonism is Nirvana” (1981) perché Scharf è stato anche molto corteggiato dal mondo dei cartoon anarcoidi, come I Flintstones e Gli Antenati (a non aver avuto buon esito è stato solo il pilot della serie animata Groovenians, 2002, abbandonato da Cartoon Network per ragioni politiche). Come si combatte il fantasma della sconfitta? A colpi di funghi allucinogeni e televisione per bambini. Ogni oggetto, ogni dettaglio ipnotizza fiato e cuore. La spirale di dimensioni alternative, i sincronismi tra onde, stelle, antenne, dinosauri e galassie fanno del tratto di Scharf una religione nucleare del colore. E dello humor.

In francese è Figuration Libre ma la decadenza psichedelica che batte nel petto di Kenny porta molto più di una maschera, di un murales o di un graffito. Basta collocare gli occhi all'interno dell'Hammer Museum di Los Angeles, dove fino al 22 maggio Scharf raccoglie alcune delle sue opere magiche: “Quando ho davanti a me una tavola o un muro, il momento di maggior tensione è il primo segno. Il primo graffio di colore. Parte tutto da lì. E' una sorta di formula spontanea per il mio arsenale di immagini. Quando tutto prende vita, gli archetipi e i sogni che porto in tasca si liberano nel vuoto e ballano il jazz, in un free-flowing strumentale che dà la giusta energia al lavoro. Perché il problema della street art odierna è che ha un po' perso la sua urgenza. Dobbiamo sforzarci ad usare zolle del nostro cervello che solitamente dormono. Io mi porto dietro ritagli mnemonici dei cartoni di Hanna-Barbera dagli anni Sessanta ma quel che più mi stimola sono i Chunk Packs, un puzzle di facce e di emozioni, assieme a surrealisti storici come Yves Tanguy”.

Un ideale di atelier senza regole, dunque: “Certo, nessuna regola. Ricordo che un insegnante alla scuola di arti visive a New York mi disse: ‘Non puoi mica dipingere questo colore'. Ed io mi sono subito chiesto: ‘Ma chi lo ha stabilito?'. Amo l'arte perché non si dimentica mai della nostra libertà e ci ricorda che possiamo fare tutto, che il destino è nelle nostre mani. La mia natura è infrangere le barriere, cambiare di posto alle cose, comunicare, creare, e studiare. Sì, la conoscenza forgia il nostro potere. Non ne dobbiamo mai avere abbastanza”. E che la sua arte sia il suo stile di vita, Kenny Scharf lo ha mostrato sei anni fa tornando a New York dalla California, e costruendo una Cosmic Cavern, una caverna cosmica ipercolorata e fluorescente, nel cuore di Times Square, dove Scharf, negli anni Ottanta, condivideva un “armadio cosmico” con Keith Haring, prima di approdare al MoMA PS1 e di rinchiudere nel ripostiglio due amici robotici immaginari di nome Spic e Span, aspirapolvere a forma di disco volante che amava portarsi appresso per Broadway. L'arte salva ogni genere di vita, anche quella inumana.

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