Cultura

Il paesaggio d’anima di Jean Dubuffet

  • Abbonati
  • Accedi
basilea

Il paesaggio d’anima di Jean Dubuffet

BASILEA - “La vostra anima è uno scelto paesaggio. | incantato da maschere e da bergamasche | che suonano il liuto e danzano, quasi | tristi sotto i loro travestimenti fantastici”. Così scriveva nel celeberrimi versi di Claire de Lune Paul Verlaine. Echi di poesia sinestesica che incredibilmente si attagliano a quell’interpete primario del “paesaggio d’anima e volti” che fu Jean Dubuffet. Ebbne sì, proprio “l’anticulturale” e pure dottissimo Dubuffet che pur rivendicando la sua estraneità a convenzioni e e tradizione della sua arte scriveva “Tutto è paesaggio”. E metamorfosi inusitate sono state le sue, con corpi sezionati da decumani e visi che si trasformano in mappe dettagliate mentre i generi della pittura trovano inauditi ribaltamenti che fanno paesaggi dai nudi e scavano terreni dalle prospettive senza cielo. Le sue interpretazioni avranno echi prolungati che dalle intuizioni “d’art brut” passeranno con referenze indelebili nelle visioni di artisti quali Jean Michel Basquiat, David Hockney, Keith Haring.

Sintesi mirabile dell’arte poliedrica e corrosiva di Dubuffet è questa retrospettiva Jean Dubuffet, Metamorfosi del paesaggio, fino all’8 maggio 2016 alla Fondation Beyeler che la medesima fondazione dedica al pittore nato a Le Havre nel 1901. Una mostra - curata da Raphael Bouvier - eccelsa e totalizzante, dal forte impatto emotivo - e sia detto fin da subito - come totale fu d’altronde l’arte di quel Coucou Bazar che fondendo teatro, musica, danza, con scultura e pittura anima l’intera esposizone, grazie anche alle interpretazioni di alcuni ballerini che danno vita a due maschere dell’opera. Tra i molti quadri presenti segnaliamo Gardes du corps, del 19423 agli albori della sua attività artistica e Bocal a vàche sempre del 1943, dall’orizzonte già tipicamente altissimo. E ancora Fumeur au mur dalla collezione Julie and Edward J. Minkoff, che così gran parte avrà nelle successive interpretazioni della street art. Poi Façades d’immeubles con la fusione del verticale e dell’orizzontale e il bellissmo Monsieur Plume piéce botanique (Portrait d’Hnery Michaux) del 1946 proveniente dalla Albright-Knox Art Gallery di Buffalo, New York.

Il corpo come “paesaggio incorporato e vivente”, in grado di ribaltare molti dogmi della ritrattistica, è ancora al centro dell’interpretazione di Corps de dame paysagé sanguine et granat, del 1950, proveniente dalla statunitense Collection of Samuel and Ronnie Heyman. Aereo e volatile, sublime nel richiamo all’effimero, è il collage d’ali di farfalla Paysage aux argus, del 1955, dalla Collection Fondation Dubuffet, Paris. Automobile à la route noire, del 1963 è invece uno dei quadri che la collezione Beyeler ha in seno e che testimonia lo stretto rapporto di fiducia tra l’artista e Ernst Beyeler , che - come spiega il curatore -“profondamente colpito dalla carica aritistica innovativa di Dubuffet” arricchirà la sua collezione privata di 12 opere significative del pittore e scultore francese, con il quale - dal 1964 al 1971 - ebbe un contratto di esclusiva. Echi matissiani nel collage Mêle moments del 1976, dalla Glimcher Family Collection e in Argument et contexte, del 1977, sempre dalla collezione Beyeler. Infine una nota a parte per le sculture fragili e friabili Le Viandot, 1954 dal Moderna Museet di Stoccolma e Madame J’ordonne , 1954, dalla The Olnick Spanu Collection, di New York., mute testimoni terragne dela vacuità del tempo distruttore.

Jean Dubuffet, Metamorfosi del paesaggio, fino all’8 maggio 2016 alla Fondation Beyeler di Basilea.

© Riproduzione riservata