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Sanremo: vincono gli Stadio, «grandi vecchi» nel festival dei giovani senza idee

L'eterno ritorno del Festival della canzone italiana ha le sue leggi. Tra queste ce n'è una che dice che quando i giovani non hanno grandi idee, va a finire che si impone un grande vecchio. Accadde nel 2011, per non andare troppo lontano, con Roberto Vecchioni ed è accaduto di nuovo ieri: alla faccia dello strapotere dei talent show, ad aggiudicarsi la 66esima edizione di Sanremo sono stati gli Stadio con «Un giorno mi dirai», pop corale su quanto sia appassionante e complicato essere genitori. Secondo posto a Francesca Michielin, vincitrice di X Factor 5 qui in corsa con «Nessun grado di separazione», terzo al duo Giovanni Caccamo-Deborah Iurato con il tormentone melodico «Via di qui». Godevano del favore del pronostico ma non avevano le carte giuste da calare.

Gli Stadio si aggiudicano anche il premio «Giancarlo Bigazzi» per la migliore musica e quello della sala stampa, radio, tv e web. Il riconoscimento della critica va invece a Patty Pravo con la sua «Cieli immensi». Completa il quadro dei premiati di questa edizione Francesco Gabbani, laureatosi venerdì primo nella categoria Nuove proposte con il pezzo «Amen», tormentone vagamente intellò che ricorda il Battiato più frivolo. Il 34enne cantautore toscano porta a casa anche il premio per il miglior testo. Per la classifica completa vi rimandiamo altrove. Giunti al secondo anno di gestione Carlo Conti, in ogni caso, alcune considerazioni vanno fatte.

La «Restaurazione» diventa arcobaleno
L'anno scorso si gridò a ragione al Sanremo della «Restaurazione», al Congresso di Vienna dell'italica canzonetta, all'eterno ritorno della Pippo Baudo's way. Quest'anno si registra un lieve scarto rispetto all'edizione 2015: è emerso in più di un passaggio il tema dell'impegno sociale che fu tra le cifre del Sanremo stile Rai 3 di Fabio Fazio, «contro» il quale il conduttore fiorentino ha elaborato il proprio controriforma. Abbiamo visto nastri arcobaleno decorare le performance di una buona metà dei cantanti in gara come endorsement a sostegno delle unioni civili, abbiamo sentito Nicole Kidman, nei panni di ambasciatrice Onu, lanciare un appello a sostegno delle donne vittima di violenza, abbiamo seguito ammirati la «lezione» sulla musica e sulla vita di Ezio Bosso, compositore affetto da Sla dal 2011, senza dubbio il momento più intenso di questa edizione. Tutte cose che nel festival dell'anno scorso non ci saremmo neanche immaginati: è come se Canti, da vecchia volpe della televisione, abbia inteso contaminare il suo approccio alla kermesse ligure con il modello che lo aveva immediatamente preceduto, senza spostare troppo il baricentro della medietà (che per qualcuno è mediocrità).

Virginia, «figlia» di Goggi e Noschese
Quanto alla squadra di conduzione, senza dubbio promossa Virginia Raffaele, spalla comica di formidabile talento nelle imitazioni parodiche: l'aristocratica Carla Fracci il suo capolavoro, ma molto riuscito anche il ritratto della Belén esibizionista/arrivista. Una specie di incrocio 2.0 tra la migliore Loretta Goggi e il più irriverente Alighiero Noschese. Mediocre Gabriel Garko: nelle intenzioni di Conti doveva incarnare il sex symbol del pubblico femminile, ma di fronte alle oggettive difficoltà tecniche riscontrate nel fargli ricoprire il ruolo di valletto, gli autori hanno provato a cucirgli addosso il vestito del moro svampito. Senza voto Madalina Ghenea: di una bellezza disarmante, ok, ma non si capisce quale valore aggiunto abbia potuto portare al programma. Che comunque, ascolti alla mano, è andato alla grande: sommando l'audience delle prime quattro serate si ottiene una media di 10 milioni 607mila spettatori (48,73%), la migliore degli ultimi 11 anni. Tradotto: inutile chiedere a Conti il corrispettivo tv della rivoluzione copernicana. Non è nato per far saltare gli schemi, ma per intuire ciò di cui il giorno dopo tutti parleranno. Nei bar di provincia come nelle palestre di città.

Giovani senza idee
L'aspetto più debole – e non dovrebbe essere un dettaglio in una gara canora – è stato l'offerta musicale. Il Conti direttore artistico ha innalzato a quota 20 il numero dei concorrenti e fatto crescere l'incidenza dei cantanti provenienti da talent sul numero complessivo dei Campioni (due su 14 con l'ultimo Fazio, sette su 20 quest'anno). L'idea era in tutta evidenza quella di riportare il Festival nel solco della tradizione e, al tempo stesso, inseguire il pubblico più giovane. Peccato che proprio dai concorrenti giovani – quelli dai quali ci si aspettava qualche idea di rottura e un po' di sana follia creativa – abbiano finito per ripiegare sulle soluzioni più anonime e convenzionali. Deludenti i Dear Jack, il loro ex cantante Alessio Bernabei e Lorenzo Fragola. Per trovare un po' di genuina voglia di rischiare, sui temi o sulle composizioni, dobbiamo gettarci tra le braccia di «grandi vecchi» come Enrico Ruggeri, Elio e le Storie Tese o gli stessi Stadio. Sarà per loro, oltre per quello che abbiamo imparato dal Maestro Bosso, che ricorderemo questo festival.

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