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Convince «Fuocoammare», delude «The Danish Girl»

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Convince «Fuocoammare», delude «The Danish Girl»

Un film italiano è il grande protagonista della settimana: dopo la presentazione di qualche giorno fa al Festival di Berlino, arriva nelle nostre sale l'attesissimo «Fuocoammare» di Gianfranco Rosi.
È un documentario su Lampedusa, in cui il regista alterna immagini del dramma dei migranti a quelle di alcune persone che vivono sull'isola, da un ragazzino che passa le sue giornate tirando con la fionda a un presentatore radiofonico.
Dopo aver vinto il Leone d'oro alla Mostra di Venezia con «Sacro GRA», Rosi dimostra ancor più maturità con questo lungometraggio profondo, ben girato e capace di far riflettere.

Coinvolge senza mai essere retorico «Fuocoammare» (il titolo prende spunto da quello di una canzone richiesta alla radio), film che riesce a raccontare con sguardo personale e fin coraggioso il dramma di chi deve affrontare la traversata per raggiungere le coste italiane e, allo stesso tempo, dei problemi quotidiani di coloro che passano a Lampedusa la loro esistenza. Niente male davvero, nonostante una certa prolissità di fondo.
La cerimonia di premiazione del Festival di Berlino è programmata per sabato sera e chissà che non sia proprio Rosi ad aggiudicarsi uno dei riconoscimenti più ambiti della kermesse.
Era in concorso alla scorsa Mostra di Venezia, invece, «The Danish Girl» di Tom Hooper.

Per il suo quinto lungometraggio, il regista inglese ha scelto la vera storia di Einar Wegener, un pittore che, nella Copenaghen degli anni Venti, inizia a posare per i dipinti della moglie con abiti da donna. Sempre più a suo agio nelle nuove vesti, porterà alla luce quel lato femminile che ha coltivato dentro di sé fin da bambino e diventerà una delle prime persone della storia a sottoporsi a un intervento chirurgico per cambiare sesso.
Nonostante al centro ci sia una figura coraggiosa e tormentata, Hooper sceglie la strada più semplice, rischia poco e finisce per banalizzare la questione del gender abilmente messa in campo.
Se la sceneggiatura è vittima di “colpi di scena” sempre telefonati, i limiti maggiori stanno in una confezione furba e studiata a tavolino nella speranza di emozionare a tutti i costi. Lo dimostra il finale, melodrammatico e retorico oltre misura. Abbastanza bravi i protagonisti Eddie Redmayne e Alicia Vikander, ma non basta.

Infine, una menzione anche per «Deadpool» di Tim Miller.
È un comic-movie decisamente sui generis, dato che il protagonista è uno dei personaggi più sboccati e anticonformisti mai creati dalla Marvel.
Più che un supereroe, è un anti-eroe, capace di guarire in tempi rapidissimi e dotato di un macabro senso dell'umorismo.
Il ritmo è discreto e sono parecchi i momenti divertenti, ma alla lunga il gioco rischia di stancare e manca lo spessore dei migliori film tratti dai fumetti della celebre casa americana.
I fan lo ameranno, i meno interessati rimarranno tali anche dopo averlo visto.

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