Cultura

L'Eco di mille complotti

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L'Eco di mille complotti

IL SOLE 24 ORE - DOMENICA (11 GENNAIO 2015)
Numero zero, il nuovo romanzo di Umberto Eco, impone a chi legge due opposti esercizi mentali. Il primo, naturale per chiunque si immerga in una narrazione, ci spinge a seguirne la trama e la coerenza costruttiva. È insomma il modo normale di leggere una storia che funziona. Niente di più. Poiché però il romanzo è incentrato sul tema del complottismo – per nulla nuovo per l'Eco saggista e narratore – le cose si complicano e si è costretti a fare anche un esercizio opposto. Eco usa ogni mezzo per mettere alla prova la credulità del lettore, costretto a fidarsi e a diffidare nello stesso tempo di ciò che gli viene detto, giocando sulla straordinaria attrazione – e insieme diffidenza – che nutriamo per le spiegazioni di carattere cospiratorio, e lo fa nel modo giocoso e parodistico cui ci ha abituati fin dai tempi del Diario minimo. Ci costringe a giocare con lui, tutto il tempo, anche se il gioco non avrà un esito allegro, e il romanzo si rivelerà una disarmante conferma del lungo declino morale e civile che l'Italia sperimenta da una cinquantina d'anni.

Siamo a Milano, nel 1992. Il commendatore Vimercate vuole fondare un giornale che in realtà non dovrà mai uscire. I numeri di prova serviranno da arma di ricatto per entrare nel salotto buono dell'editoria e della finanza. Il protagonista, un giornalista poco più che cinquantenne, un perdente di talento, dovrà scrivere un libro che racconta la vicenda della mancata uscita del quotidiano come se si trattasse di un attentato alla libertà di informazione da parte dell'establishment che non vuole emergano le verità scottanti che vi verrebbero raccontate. Partecipa dunque a tutte le riunioni della redazione, di cui fanno parte, tra gli altri, una vera e propria spia e una giovane brillante collega, Maia. Tutti, tranne lui e il direttore, sono convinti di lavorare sul serio alla costruzione di un giornale libero e indipendente. In realtà, nel tener conto degli interessi del generoso finanziatore, si moltiplicano le restrizioni e si assemblano le notizie con modalità che costituiscono un vero e proprio manuale del cattivo giornalismo che si sarebbe visto in opera nei vent'anni successivi. Le idee più brillanti e giocose proposte da Maia vengono invece cassate sistematicamente, o piegate anch'esse alla logica della disinformazione. Dai loro dialoghi emerge la ricostruzione dei decenni precedenti: Gladio, Licio Gelli, la P2, la morte sospetta di papa Luciani, il golpe borghese, le stragi, le Br, la strategia della tensione, le indagini depistate, il ruolo della Cia, i Lupi grigi, l'attentato a papa Giovanni Paolo II. La cornice per tenere insieme tutto questo è fornita dal personaggio più logorroico del romanzo, Braggadocio, presentato fin dall'inizio come il tipico esponente di una mentalità cospiratoria. Egli è convinto che tutto possa essere spiegato a partire dalla tesi strampalata secondo cui il corpo di Mussolini esposto a piazzale Loreto non era quello del duce, che sarebbe sopravvissuto fino all'inizio degli anni Settanta, e che tutte le possibili trame sarebbero dovute sfociare in un suo glorioso ritorno.

Numero zero, come Sottomissione di Michel Houellebecq, è il romanzo di una resa. Solo che mentre quella è una distopia che ci proietta in una Francia islamizzata del 2022 – e che, a parte la coincidenza fortuita con l'attentato a «Charlie Hebdo», sicuramente non si realizzerà – il romanzo di Eco ci riporta indietro nel tempo, al 1992, nei mesi in cui sta per esplodere Mani Pulite e si compie l'escalation dei delitti di mafia, e ci trasmette il senso del reale, definitivo fallimento, di quello che avrebbe dovuto essere l'inizio di un rinnovamento morale del nostro Paese.

Per chi legge, tutto è già avvenuto. Un lector più che mai in fabula, e tuttavia impotente, partecipa interattivamente all'intreccio, e ne può trarre una soddisfazione intellettuale, ma non morale. In Italia, infatti, la realtà finisce per superare la fantasia. Il protagonista progetta di fuggire dal Paese perché, essendo a conoscenza di numerose verità che potrebbero essere considerate pericolose – anche se non sa bene quali e da chi orchestrate – teme per la propria incolumità. Fa mille piani insieme a Maia ma poi i due incappano in un programma della Bbc su Gladio, che viene visto da decine di milioni di italiani, che ricostruisce le vicende italiche quasi alla maniera di Braggadocio. Tutto ormai è alla luce del sole, nessuno si vergogna di nulla, i tessitori di trame se ne vantano pubblicamente, «la corruzione è autorizzata», il mafioso può sedere direttamente in Parlamento, e «in galera solo i ladri di pollame albanesi».

Numero zero si chiude con un finto lieto fine che lascia l'amaro in bocca. A cosa serve prendersi la briga di smascherare bufale e complotti, o complotti di complotti che magari sviano dai veri complotti, se poi tutto si risolve nel lasciare le cose come stanno e si resta invischiati in eterno nella medesima situazione?

In realtà proprio questa attività apparentemente vana può offrire un barlume di speranza. Può spingere a recuperare la mentalità illuministica che aveva spinto per esempio Karl Popper ad analizzare «la teoria sociale della cospirazione», frutto della irresistibile tendenza degli uomini a sostituire le trame tessute dagli dei dell'Olimpo descritto da Omero con versioni più laiche del medesimo teismo, dove i responsabili occulti dei fatti più eclatanti sono gruppi di potere animati da incoffessabili interessi.

Non che i complotti non esistano nella realtà. Ma quasi mai sortiscono gli effetti descritti dai fanatici che li ricostruiscono, e spesso falliscono. A volte basta informarsi leggendo i testi meglio accreditati. Il corpo del duce di Sergio Luzzatto, per esempio, basterà a confutare Braggadocio. A volte è più complicato e bisogna imparare a districarsi con tesi assurde ma esposte in maniera seria e articolata. Non è tutto ciarpame ciò che ha a che vedere coi complotti. Spesso sono molte verità a portare a conclusioni palesemente errate. Basta vedere quante prove e quanti fatti contengono i libri sulla morte di Kennedy, o sugli americani che non sarebbero mai andati sulla Luna, o su Bush che avrebbe organizzato in prima persona l'attentato alle Torri Gemelle. Ma mentre la storiografia seria, se va bene, può fornire una verità plausibile, spesso piena di lacune e di problemi aperti esplicitati dall'autore, quel genere di letteratura spesso tende a spiegare tutto, e in maniera definitiva. E questa è già una spia accesa che dovrebbe indurci a diffidarne.
Il successo del complottismo risiede inoltre nella sua indubbia capacità affabulatoria. È in grado di affascinare, scaldare i cuori, in confronto a certe spiegazioni documentate e razionali che però paradossalmente appaiono meno credibili. Ma è anche stato sostenuto che chi dispone di informazioni capaci di confutare le teorie della cospirazione ha delle ragioni in più per appassionarsi seriamente alla politica.
Numero Zero è chiaramente un complotto ordito da Umberto Eco ai danni del lettore, per mostrargli quanto della nostra vita e della nostra storia sia frutto di narrazioni, letterarie o meno, affinché infine disponga, senza neppure rendersene conto, di molte più armi e strumenti di analisi per difendersi dalle bufale, dalla cattiva informazione e dalle teorie della cospirazione. Dovrebbe essergliene grato.

Umberto Eco, Numero zero, Bompiani, Milano, pagg. 224, € 17,00

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