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Kant e l'ornitorinco

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IL SOLE 24 ORE - DOMENICA (26 OTTOBRE 1997)
Umberto Eco e' un grande affabulatore. Anche le discussioni teoriche piu' sofisticate e complesse, in Kant e l'ornitorinco, come dice lui stesso, sono intessute di 'storie'. Storie divertenti e istruttive di cani, gatti, unicorni, sarchiaponi. Ma egli sa bene - e le virgolette, infatti, sono sue - quanto il 'raccontare storie' possa passare per una quantita' di sfumature che vanno dall'inventare menzogne colossali al dire la verita' condendola di elementi che la rendono ancora piu' viva e credibile e quindi piu' vera.

Di quest'arte Eco e' maestro da sempre, da molto prima che questa vena si esprimesse nella scrittura romanzesca. La sua e' un'arte senza inutili fronzoli, che si esprime - in relazione ai molteplici aspetti della vita e della cultura che egli ama affrontare - in un esercizio misurato e intelligente dell'appropriatezza e della pertinenza. Un equilibrio che solo talvolta viene meno: e allora dallo sfondo finisce con l'emergere la figura del 'simpatico divagatore-cacciaballe', come accade in una delle ultime Bustine di Minerva, dove a dare un'idea della quantita' di refusi contenuti in Kant e l'ornitorinco e' piu' il titolo -

«Atenzione. Questo titolo contiene tre erori» - che non il testo dell'articolo, in cui Eco si limita a segnalare una data sbagliata apparsa nella bibliografia e per il resto si esercita in una divagazione da bibliofilo erudito che potrebbe essere il nucleo di un trattatello «Sugli errori di stampa da Manuzio ai giorni nostri. Storia, prospettive, problemi». I refusi di cui e' costellato Kant e l'ornitorinco in ogni caso restano, e forse - valga come suggerimento per un'altra Bustina - sono parte della visione del mondo che Eco ci vuole trasmettere. Un mondo in cui i fatti contano, e ci costringono a verificare, rivedere e correggere gli schemi mentali attraverso i quali normalmente li leggiamo.

Questa, in sintesi, e' la morale dell'ornitorinco. Un animale assolutamente reale, ma «che pare concepito per sfidare ogni classificazione, vuoi scientifica, vuoi popolare». A prima vista sembrerebbe un mammifero. E infatti allatta i piccoli. Ma al tempo stesso ha il becco, fa le uova, sembra non avere mammelle, vive sott'acqua ma respira nell'atmosfera, ha dita palmate ma con gli artigli. Un animale «orribile, fatto con pezzi di altri animali», come aveva detto Borges? No, dice Eco. Non orribile, «ma prodigioso e provvidenziale per mettere alla prova la nostra teoria della conoscenza».

Anzi, quella di Kant, il quale non aveva fatto in tempo a sapere dell'esistenza di questo strano essere, ma che, parlando di cani, aveva «tirato in ballo i concetti empirici» (anche se poi «non sapeva dove metterli», e non ci ha spiegato come funzionano) e che soprattutto ci ha lasciato la nozione di 'schema', preziosissima oggi nella discussione delle scienze cognitive, che costituiscono lo sfondo delle (nuove) riflessioni filosofiche di Eco. E' attraverso gli schemi kantiani, i quali si pongono a mezza strada tra percezione e linguaggio, e che Eco rielabora nella nozione dei Tipi Cognitivi, che si dovrebbe spiegare la nostra capacita' di riconoscere un gatto e di distinguerlo da un cane. Eco aggiunge poi un'altra nozione, quella di Contenuto Nucleare, attraverso la quale si passa dai tratti percettivamente rilevanti dei Tipi Cognitivi alle loro interpretazioni linguistiche.

Ed e' qui che la faccenda assume una dimensione pubblica. Cio' che io percepisco come tratto caratteristico di un cane o di un gatto si traduce in categorie come animale, quadrupede, felino, canino, e via dicendo, attraverso le quali - per l'esperienza che abbiamo dell'uso del nostro linguaggio - finiamo per intenderci intersoggettivamente su che cosa sono, e su come si riconoscono, cani e gatti. Che diremmo invece di un animale che non avevamo mai visto? Probabilmente faremmo come Marco Polo quando a Giava vide un rinoceronte e disse che si trattava di un unicorno: cercheremmo di ricondurlo a un concetto che gia' possediamo che cercheremmo di adattare al caso specifico.

Certo, il rinoceronte non e' bianco, il corno e' piu' tozzo, il pelo completamente diverso, ma grosso modo le sue componenti sono simili a quelle dell'unicorno immaginato da Marco Polo. Allo stesso modo l'ornitorinco in un primo momento - andando a pescare nelle categorie disponibili - era stato interpretato come una 'talpa d'acqua'. Poi pero' e' iniziata una lunga negoziazione tra gli scienziati, con discussioni a non finire durate ottantacinque anni, per stabilire di che cosa effettivamente si trattasse. Da questo tipo di 'negoziazione', a parere di Eco, dipendono anche nozioni piu' famigliari, come quelle di gatto, cane, tavolo, sedia, eccetera. Da cio' dipende lo spiccato fallibilismo che caratterizza la sua posizione. Per quanto esista una certa stabilita' nei concetti e nelle nozioni che usiamo quotidianamente, esse possono sempre cambiare.

Il mondo, i fatti, l'esperienza fanno resistenza, interagiscono con le nostre categorie e ricostruzioni concettuali e talvolta le mettono in crisi. Ma per quanto sia possibile dare interpretazioni diverse o usare categorie alternative, esiste uno 'zoccolo duro' dell'Essere che ne impedisce alcune. Allo stesso modo, per riprendere le considerazioni de I limiti dell'interpretazione, se e' vero che un testo puo' essere interpretato in molti modi diversi, e' anche vero che siamo in grado di riconoscere le interpretazioni che non sono ammissibili. Quanto all'ornitorinco, per quanto si contrattassero definizioni che partivano da quadri interpretativi diversi, si parlava pur sempre dello stesso animale, e nessuno si e' mai sognato di dire per esempio che avesse le ali. In questo modo Eco prende definitivamente le distanze da certe forme di relativismo contemporaneo.

Per la sua posizione parla di 'realismo contrattuale', una nozione abbastanza vicina a quella di 'realismo interno' di Hilary Putnam, un autore di cui nel volume si sente molto la presenza, insieme a quella di Quine, di Peirce, di numerosi scienziati e filosofi cognitivi, e tra i filosofi italiani soprattutto di Diego Marconi, autore di Lexical Competence (vedi «Il Sole-24 Ore» del 27 aprile), un volume che affronta gli stessi problemi di Eco. Proprio Marconi, il 5 ottobre scorso, recensendo l'ultimo libro di Maurizio Ferraris (Estetica razionale, Cortina), osservava che negli ultimi anni molti filosofi (tra cui Putnam, McDowell, Bouveresse) hanno ripreso a occuparsi del problema dei rapporti tra linguaggio, percezione e realta'. Per quel che riguarda la filosofia italiana, tutti i libri importanti di quest'anno lo fanno: a Marconi e Ferraris, va aggiunto Salvatore Veca che, in Dell'incertezza (Feltrinelli), dedica un capitolo a «Che cosa c'e'».

Insomma, i tempi stanno cambiando, ed Eco con questo libro mostra di essere in sintonia con il cambiamento. Che poi queste sue nuove riflessioni siano davvero in linea di continuita' con quelle del Trattato di semiotica generale del 1975 e' cosa che viene messa in dubbio proprio da Marconi, in una recensione che uscira' nel prossimo numero dell'«Indice». Nei dibattiti degli Anni Sessanta e Settanta, sostiene Marconi, Eco non avrebbe mai accettato l'idea che le icone (o le ipo-icone), piuttosto che segni puramente convenzionali, siano «stimoli percettivi che creano l'effetto di essere di fronte all'oggetto» ma sarebbe stato piu' probabilmente dalla parte dei 'culturalisti' e dei 'relativisti'. I tempi sono cambiati, ed Eco con loro. Che questa voglia di mostrare una continuita' col proprio passato non sia un altro aspetto della sua vocazione a raccontare 'storie'?

Umberto Eco, «Kant e l'ornitorinco», Bompiani, Milano 1997, pagg. 454, L.34.000.

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