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Angela Zucconi, un’olivettiana per il Mezzogiorno

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Angela Zucconi, un’olivettiana per il Mezzogiorno

La vita di Angela Zucconi è una di quelle esistenze stra-ordinarie che in sé sono una forte testimonianza: d'azione, prima di tutto, di conoscenza a più strati, di umanità. Non è stata solo una donna colta e attiva, benché sapere il tedesco e il danese non fosse da tutti (e soprattutto da tutte) nella prima metà del Novecento. Ha sentito prioritario e invincibile il desiderio di contribuire alla costruzione di una società più giusta e di edificare un Paese martoriato dalla guerra rispetto alla propria realizzazione nell'ambito letterario, dove pure le si dispiegava un luminoso futuro. Accanto a Bobi Bazlen, Natalia Ginzburg, Cesare Pavese e la squadra dell'Einaudi. Scelse la via del sociale di impronta olivettiana, andò a Matera – dopo la legge del 1952 di evacuazione dei Sassi “vergogna nazionale” – e in alcuni paesi tra L'Aquila e Chieti, convinta che il lavoro di comunità fosse la strada maestra per l'emancipazione dall'arretratezza. Ma cominciamo dall'inizio.

L'autobiografia si apre con il capitolo «Bengasi», siamo negli anni Venti e Angela – nata a Terni nel 1914 - è una bambina che vive con la famiglia nella città libica dove il papà fa il procuratore del re. Per dare l'idea del tipo di educazione e del rigore che si respira in casa, lei e i suoi fratelli vengono mandati a scuola anche durante l'epidemia di peste, con le palline di naftalina nei calzettoni, perché le lezioni non si saltano per nessun motivo. Gli Zucconi tornano in Italia alla fine degli anni Venti, vivono tra Trieste e Roma dove Angela si laurea in Lettere con una importante tesi su Ludovico I di Baviera (frutto di documenti inediti che aveva trovato in una villa umbra durante le vacanze estive).Negli anni universitari c'era stato il primo degli incontri cruciali della sua vita: quello con padre Giuseppe De Luca, futuro fondatore delle Edizioni di Storia e Letteratura, persona saggia, colta, che costituirà sempre un punto di riferimento. È lui che le suggerisce una serie di letture e la introduce ad «Avvenire» facendola scrivere per le pagine culturali. Ma le collaborazioni giornalistiche s'infittiranno proprio grazie alla tesi, notata da Leo Longanesi, il quale la coinvolge a «Omnibus», a «Storia» e «Oggi».

Nel 1940 Zucconi coglie l'occasione di una borsa di studio in Danimarca dove conosce, tra gli altri, il premio Nobel Niels Bohr e comincia a tradurre alcune opere di Kierkegaard per le Nuove Edizioni Ivrea, su incarico dell'intellettuale triestino Bobi Bazlen che le aveva fatto conoscere Adriano Olivetti, altro personaggio centrale della sua esistenza. Il legame con il Paese nordico sarà una costante della sua vita, anche quando prevarrà l'interesse sociale: vi condurrà nei mesi estivi – nello sfascio del Dopoguerra – una colonia di mille bambini romani, dispiaciuti alla fine di lasciare quelli che erano diventati veri e propri affetti. Nel '43 il sopraggiungere del nazismo la costringe a tornare in Italia dove l'aspettano gli anni bui della guerra. Ritrova Bazlen il quale la fa entrare all'Einaudi, dove si dedica a traduzioni e bozze, instaura un rapporto fraterno con Natalia Ginzburg, matura una coscienza sociale e politica tale che il “dover fare” diventa imperioso. Quando Giuliana Benzoni le propone di partecipare alla fondazione del Movimento di Collaborazione Civica (Mcc) non ci pensa due volte: lascia la casa editrice e un percorso intellettuale promettente. Una decisione che gli amici di sempre le rimprovereranno ma che non rimpiangerà. L'Mcc concretamente vuol dire riorganizzare la vita sociale e pubblica italiana insieme alla Croce Rossa nelle zone più povere e depresse, attraverso la formazione ed educazione dei giovani, l'organizzazione di colonie estive.

Quando nasce il Cepas, la prima scuola per assistenti sociali creata dai coniugi Calogero, viene quasi naturale pensare a lei come direttrice: la guiderà dal 1949 al 1963, al fianco di docenti come Federico Chabod, Bruno Zevi, Adriano Ossicini, con lo sguardo rivolto in particolare al Mezzogiorno. «L'utopia di oggi sarà la politica di domani» scrive Zucconi, più d'una volta, citando Emilio Sereni. E grande è la sua amarezza quando il progetto della Martella, uno dei quartieri di Matera pensati per gli evacuati dei Sassi (gente «dall'altissimo senso di dignità») da un gruppo qualificato di professionisti come l'architetto Ludovico Quaroni e il medico Rocco Mazzarone, naufraga per la deliberata inconcludenza della politica. In Abruzzo, nel 1958, Angela ha la soddisfazione di far proseguire gli studi a un centinaio di ragazzi che avevano la licenza elementare, vivevano in Comuni isolati e inaccessibili, lontani da centri provvisti di scuola media. E sono commoventi le lettere di questi studenti, ormai adulti, che le manifestano un'immensa gratitudine perché senza il “Progetto Abruzzo” non sarebbero quello che sono. Colpita dalla fine improvvisa di Olivetti («con la sua morte scompariva la speranza e l'immaginazione di un'Italia della società civile che non fosse soggetta ai partiti-padroni»), porta avanti il suo caparbio impegno sociale (è vicepresidente dell'Unione donne italiane, è attiva nella Fondazione Adriano Olivetti, milita nel Psi) prima di rifugiarsi ad Anguillara, vicino a Roma, dove torna in qualche modo alle origini, battendosi per l'apertura della prima Biblioteca comunale.

eliana.dicaro@ilsole24ore.com

Angela Zucconi, Cinquant'anni nell'utopia, il resto nell'aldilà, prefazione di Goffredo Fofi, Castelvecchi, Roma, pagg. 262, € 25

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