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L’imperdibile «club» di Pablo Larraín

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L’imperdibile «club» di Pablo Larraín

Pablo Larraín è l'assoluto protagonista del weekend in sala: il suo ultimo film, «Il club», arriva finalmente nei nostri cinema a un anno di distanza dalla vittoria del Gran Premio della Giuria al Festival di Berlino 2015. Al centro della trama c'è un gruppo di (ex?) preti che vive, insieme a una suora, in una casa vicino al mare. Lo spazio in cui si trovano è però un luogo di penitenza dove redimersi dai gravi peccati che hanno compiuto in passato. Un giorno, alla piccola comunità si aggiunge un nuovo sacerdote, seguito da un uomo che gli urla contro pesanti accuse: le conseguenze saranno terribili.

Dopo la trilogia sulla dittatura di Pinochet («Tony Manero», «Post mortem» e «No – I giorni dell'arcobaleno»), Larraín si conferma un autore da tenere in grande considerazione: «Il club» è la sua opera più matura in assoluto, capace di scuotere a fondo e di dare vita a riflessioni tutt'altro che banali. Il bersaglio della sua denuncia è la Chiesa cattolica (di cui “il club” è un'esplicita allegoria), ma lo sguardo del regista spazia anche su altre tematiche, dal senso di colpa a una serie di controverse scelte morali.

Potentissimo sul versante formale e avvincente su quello narrativo, il film colpisce, coinvolge e regala momenti di grandissimo cinema (la lunga sequenza in montaggio alternato prima del finale, in primis). Una menzione speciale va anche all'ottimo cast, guidato da due interpreti feticcio di Larraín come Alfredo Castro e Antonia Zegers.

Così così, invece, «Lo chiamavano Jeeg Robot» di Gabriele Mainetti. Interessante ma imperfetta, è un'opera prima che segue la classica struttura dei film di supereroi: un ladruncolo entra in contatto con una sostanza radioattiva che gli darà una forza sovrumana, ma insieme al potere aumenteranno anche i pericoli. Curioso esempio di cine-comic all'italiana, è un film che presenta buoni personaggi (compreso il cattivo di turno, interpretato da Luca Marinelli) e capace di abbracciare nel modo giusto la sua natura di pellicola di genere e pensata per l'intrattenimento. Seppur sia una visione godibile, sono diversi e piuttosto evidenti i limiti complessivi, a partire da una durata a dir poco eccessiva e da troppi momenti di stanca.

Infine, una menzione negativa per il deludente «Good Kill» di Andrew Niccol con Ethan Hawke. L'attore interpreta un ufficiale dell'esercito americano che ha il potere di uccidere i nemici a migliaia di chilometri di distanza grazie ai droni. I dubbi morali, però, inizieranno presto ad assalirlo. Quello che poteva essere sulla carta un film importante e profondo, si è rivelato in realtà un lungometraggio stucchevole, denso di retorica e girato senza guizzi. Spesso ricattatorio, ha il suo momento peggiore in un finale fastidioso e ben poco sincero. Da evitare.

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