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Peter Gabriel e le maschere. La «filosofia del teatro» applicata…

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Peter Gabriel e le maschere. La «filosofia del teatro» applicata ai Genesis

La filosofia si è a lungo esercitata sull'arte drammatica, sino a giungere alle vette eccelse della «Nascita della tragedia» che è un po' il mondo spiegato attraverso il teatro greco. Anche il rock ha avuto il suo teatro, più o meno in coincidenza con l'età aurea del progressive, quando la forma canzone ruppe gli argini dei tre minuti per correre più o meno libera verso gli sterminati orizzonti di classica, jazz e arte concettuale. Tempi difficili (soprattutto nel senso del solfeggio), in cui l'album voleva diventare concept, gli strumentisti potevano abbandonarsi a lunghi temi strumentali e i cantanti, quando non imbracciavano uno strumento, dovevano pure inventarsi qualcosa perché l'occhio dello spettatore voleva la sua parte durante le parti di sola musica.

Il principe di questa particolarissima forma d'intrattenimento fu Peter Gabriel, nei primi anni Settanta frontleader dei Genesis, band inglese tra le più ambiziose e spregiudicate dell'intero movimento. Un ragazzo colto, maestro del travestitismo scenico (essì: erano anche gli anni del glam rock) che, forse meglio di chiunque altro, spiegò al mondo il senso del mestiere del cantante durante l'assolo del chitarrista.

Se quella fu arte drammatica, giusto che ci sia anche una «filosofia» di quell'arte drammatica. Ci prova Donato Zoppo, critico musicale tra i maggiori conoscitori italiani del progressive, attraverso «La filosofia dei Genesis. Voci e maschere del teatro rock» (Mimesis Edizioni), agile libro che si concentra sulla parabola della band nata tra i banchi della Charterhouse, dalle origini all'album capolavoro «The Lamb lies down on Broadway». Sotto osservazione c'è ovviamente Gabriel che è insieme la voce (intesa come vibrazione dell'anima), il volto (o forse dovremmo dire i volti) e il «drammaturgo» delle esibizioni live del gruppo. Con lui i Genesis scrivono più di una pagina fondamentale della musica popolare del Novecento. I soldi li faranno dopo, quando Phil Collins mollerà le bacchette per prendere il microfono. Ma a Zoppo interessa l'arte, la «rappresentazione grottesca» di «Harold the Barrel» o il «finale celestiale» di «Supper's Ready». Cose che ancora oggi fanno la felicità degli amanti della buona musica.

Donato Zoppo
«Genesis. Voci e maschere del teatro rock»
Mimesis Edizioni
Euro 8
pp. 116

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