Cultura

Le macerie pugliesi della guerra persa e la “fame” di innovazione

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Le macerie pugliesi della guerra persa e la “fame” di innovazione

Sono stato una giornata a Bari da giovedì a venerdì sera e i miei compagni di viaggio, in questo giro d’Italia nei luoghi e tra le donne e gli uomini che vivono di innovazione, mi hanno restituito gli odori, i colori e le tinte forti di una «terra da combattimento», la frase è presa a prestito dal governatore della regione Puglia, Michele Emiliano, dove la «scarsità di risorse» e la «fame» aiutano sempre a rialzarti perché il «Pil è vissuto come un’ossessione» e la comunità «a suo modo si tiene», vive in trincea, a volte si divide, ma lotta per costruire occasioni di lavoro e riesce sempre a ritrovarsi, nonostante la battaglia politica e qualche bizantinismo salentino di troppo, prima che la lacerazione prevalga e tutto si sfilacci. Ho frequentato Bari per un certo numero di anni nei giorni lunghi della Fiera del Levante, in stagioni politiche ed economiche molto diverse da quelle di oggi, e mi ha fatto piacere rivedere il lungomare, il Petruzzelli “sopravvissuto” al rogo e agli scandali, qualche amico che ha perso i capelli, ma soprattutto mi ha fatto piacere di non avere incontrato uno dico uno che si lamentasse e, tra incursioni della criminalità organizzata, macerie tarantine dell’Ilva e quelle di una guerra persa che è il conto pagato dal Pil pugliese per la grande crisi, non mancherebbero di certo gli spunti. Ho incontrato la Bari dei Pertosa, dei Favuzzi, degli Inglese, dei Fontana, dei Divella, ognuno con il suo carattere e i suoi talenti ma tutti capitani di impresa entusiasti del loro lavoro con l’innovazione nei cromosomi, ho percepito il senso della regia di Laterza e di Di Bartolomeo, ho ascoltato il racconto di donne determinate come Eva Milella, Mariarita Costanza e Mariella Pappalepore, mi ha trasferito la sua passione Loredana Capone, e mi sono reso conto di come sia stato possibile in questa terra che aspetta ancora l’alta velocità ferroviaria che la colleghi a Napoli, Roma, Milano, meglio «all’Europa» come dicono loro, avere una crescita dell’occupazione nel 2015, dopo la grande crisi, nettamente superiore allo standard nazionale e rimanere “in bilico” alla vigilia di un nuovo boom da miracolo economico o di una caduta rovinosa.

C’è, però, qualcosa che mi ha veramente colpito e mi ha fatto credere che la “caduta rovinosa” si possa escludere: è stato scoprire che sempre qui, proprio in questa terra, più precisamente nei laboratori dell’Università di Lecce a Calimera, un ingegnere chimico laureatosi a Napoli con tanto di post doc al MIT, Alessandro Sannino, è riuscito ad inventare la pillola per tenere sotto controllo la glicemia, combattere l’obesità e dimagrire e, soprattutto, è riuscito a raccogliere capitali prima da Boston, poi da New York e da San Francisco, per oltre 105 milioni di dollari, una delle spin off più finanziate in Europa. «Bisogna avere il coraggio a ogni bivio di accendere il motore e di imboccare la salita» ti dice con un sorriso stampato negli occhi e non rinuncia a sottolineare che sempre qui, a Calimera e dintorni, ci sono «ricercatori molto più bravi e molto meno fortunati di lui» ma proprio per questo è convinto che «il capitale del futuro sia in casa e si possa esprimere al meglio». Mi spiega, chiedo, come ha fatto a raccogliere 105 milioni di dollari nel mondo? Altro sorriso e il professore inizia il suo racconto: «Tutto è partito con la richiesta di una multinazionale svedese, la SCA Molnlycke, al nostro dipartimento universitario di sviluppare un pannolino completamente biodegradabile, lottammo con gli elastici e il superassorbente, e consegnammo un prodotto molto avanzato ma in una delle sue passeggiate italiane, mentre lo accompagnavo all’aereo privato, il Ceo di allora mi disse che non avrebbe mai usato la nostra tecnologia perché costava troppo e voleva solo spaventare i concorrenti. Mi disse: è come la corsa agli armamenti, loro devono sapere che noi siamo attrezzati, così nessuno fa nulla, perché sarebbe uno scontro costoso per tutti e senza frutti per nessuno».

Lo fermo, ho capito che questi sono gli inizi sfortunati, ma torno a chiedere: che cosa c’entrano con la pillola? Risposta secca: «C’entrano, perché quello stesso uomo mi disse:”Facciamo così vi lascio sviluppare tutte le applicazioni per noi non core della tecnologia e voi potete svilupparle come volete e noi vi daremo una mano”. Noi pensammo alle terapie del tratto gastrointestinale e utilizzammo quel materiale che assorbe più di una spugna per sottrarre acqua all’organismo durante il transito e ridurre così i rischi di collasso vascolare. Partecipai a una competizione tra tutti gli studenti del MIT e di Harvard per una tecnologia valida, a Boston, e vinsi il premio che era un assegno inferiore a una mensilità del mio affitto più una cena con il “Venture Capital” che sponsorizza l’iniziativa in un ristorante dove l’assegno non sarebbe bastato a pagare il conto. Presentai la tecnologia per la dialisi, vinsi, cambiai la bici, andai a cena e parlai con entusiasmo dell’applicazione e dei risultati ottenuti. Furono loro a dirmi che la dialisi non interessava, ancora costi troppi alti, ma mi dissero subito che il prodotto aveva un’altra applicazione molto più interessante: le diete. Ricordo le parole: un materiale che si rigonfia nello stomaco e dà senso di sazietà, senza essere assorbito dall’organismo, è un sostituto naturale del palloncino intragastrico e di tanta chirurgia invasiva. Il mercato, specialmente americano, è enorme. Un investimento, anche ad alto rischio, più che giustificato. Alto rischio? Pensai tra me e me. Macché alto rischio. Il prodotto funziona alla grande, è biocompatibile e si gonfia nello stomaco. Quando un ricercatore sviluppa una tecnologia tende a considerarla completa prima ancora che sia iniziato lo sviluppo». Sannino ha capito che ce la può fare, mette su una Srl con piccoli investitori italiani, la Gelesis, e rilascia un’intervista a un giornale inglese nella quale dichiara che «l’ingestione del materiale prima del pasto genera una massa nello stomaco più o meno simile ad un piatto di spaghetti, prima del pasto». Sono sempre parole sue: «Il concetto del piatto di spaghetti credo piacque e la citazione fu ripresa da alcuni quotidiani statunitensi, fino ad arrivare all’orecchio di un gruppo di investitori americani che cercavano proprio in quel periodo un prodotto di quel genere, per un’applicazione di quel genere».

Erano di Boston questi investitori e Sannino fece al contrario lo stesso percorso che aveva fatto qualche anno prima, rimase lì due giorni in più del previsto, rispose a un sacco di domande e tornò a casa con un round di oltre dieci milioni di dollari per «uno studio molto ampio sia clinico che di prodotto e di processo». Sono seguiti, da allora, altri round di finanziamenti da Boston, poi da New York e da San Francisco, la Gelesis è pronta a quotarsi a Wall Street, stacca anche il “ticket”, ma poi arrivano altre decine di milioni di finanziamenti, anche con fondi europei, siamo a quota 105, e il professore Sannino decide di continuare le ricerche in autonomia prima del lancio sul mercato. Oggi Gelesis ha una sede di ricerca, produzione e sviluppo per gli studi clinici in Italia, a Calimera, in provincia di Lecce, dove lavorano 20 giovani in gran parte laureati nell’Università del Salento, ed una sede finanziaria a Boston, sul fiume Charles, in linea d’aria di fronte al vecchio laboratorio del MIT dove il professore Sannino era studente e dove oggi lavorano altri venti dipendenti americani in collegamento con collaboratori da 30 sedi in Europa e 25 negli Stati Uniti. Franco Tatò ci ha spiegato un po’ di tempo fa perché la Puglia non è la California, un ceto burocratico-politico corrotto trasversalmente ne sbarrava la strada, oggi un mercato ancora più globale dà una mano vera ai tanti Sannino e non voglio perdere la speranza che le cose possano cambiare ancora più velocemente nei palazzi della burocrazia e della politica. Le macerie della guerra persa aiutano a ritrovare la “fame” e la “voglia pulita” di combattere per tornare a creare lavoro e fare le cose perbene. Quelle macerie pesano e, per fortuna, parlano alle coscienze.

roberto.napoletano@ilsole24ore.com

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