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Addio a George Martin, il produttore che prese John, Paul, George e…

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Addio a George Martin, il produttore che prese John, Paul, George e Ringo e li trasformò nei Beatles

George Martin (Epa)
George Martin (Epa)

Prendi quattro ragazzi della working class inglese pieni di idee ma incapaci di leggere uno spartito e trasformali nella più grande band di tutti tempi, in un pezzo imprescindibile di storia della musica e, più in generale, del costume del Novecento. Un miracolo? Se la mettiamo in questi termini, oggi è morto l'uomo del miracolo: sir George Martin, 90 anni, produttore, arrangiatore ma soprattutto scopritore dei Beatles, l'uomo che a 36 anni si accorse che quei quattro ragazzi di 20, nonostante tutti i limiti degli autodidatti, «avevano qualcosa».

Ironia della sorte, il primo Beatle a indirizzargli un pensiero (un «God Bless, peace and love» su Twitter) è stato l'ultimo a entrare nel gruppo, quello sulla cui permanenza nella band Martin all'inizio aveva più di un dubbio: Ringo Starr. L'aneddoto restituisce il ruolo centrale che questo musicista prestato alla consolle, l'unico a meritare l'epiteto ultra-abusato di quinto Beatle, ebbe nella nascita e nella crescita dei Fab Four. Perché senza di lui non ci sarebbero stati la celeberrima orchestrazione d'archi di «Yesterday», il quartetto barocco di «Eleanor Rigby» e la sinfonia pop di «A day in the life». E fermiamoci qua.

Il provino ai Fab Four
Londinese di Highbury, il quartiere caro a Nick Hornby e a tutti i tifosi dell'Arsenal, uomo di studi classici e servizio nella marina reale britannica, dalla fine degli anni Cinquanta lavorava come executive nella Parlophone, l'etichetta che la Emi usava per incidere i dischi dei comici. La sera, con gli amici al pub poteva raccontare di aver collaborato con Peter Sellers. Questo fino al febbraio del 1962, quando gli piombarono in ufficio questi ragazzi di Liverpool vestiti di pelle, appena scartati dalla Decca, per la quale non c'era «futuro per i gruppi chitarristici». Gli apparvero rozzi, ma non gli dispiacquero, provò a lungo a farli cantare uno alla volta per capire chi era il leader, per poi arrendersi e comprendere che quello era un gruppo in cui tutti cantavano perché tutti contavano. Ispirò più di un cambiamento di batterista (da Pete Best a Ringo, poi Andy White, quindi di nuovo Ringo) e li guidò al debutto del singolo «Love me do». Aveva un fiuto incredibile. Per dirne una: John Lennon gli portò un pezzo alla Roy Orbison, lui insistette affinché i ragazzi lo velocizzassero. «Inventò» così «Please please me», qualcosa di assolutamente diverso da ciò che fino a quel momento si era ascoltato. Qualcosa che diede inizio alla Beatlemania.

Quel «tocco» che trasformava in musica le idee
Negli anni successivi, sarebbe diventato l'uomo che stava dietro tutte le svolte musicali dei quattro. Perché John, Paul, George e anche un pochettino Ringo avevano sempre idee grandiose ma spesso non avevano la minima idea di come trasformarle in musica. Su «In my life», per esempio, si prestò come clavicembalista. Quanti complessi beat, fino a quel momento, avrebbero messo un clavicembalo in una loro canzone? Dopo di lui sarebbe diventata moda. Il suo capolavoro produttivo è indiscutibilmente «Sgt. Pepper», quando Paul McCartney gli regalò un concept così ambizioso che sarebbe potuto appartenere alla musica colta e Lennon gli chiedeva di mettere in musica inseguimenti di animali. Il «tocco» di Martin sarebbe da lì in poi diventato un caposaldo della musica pop del Novecento. Con l'orchestrale lato b di «Yellow Submarine», colonna sonora dell'omonimo film a cartoni animati del 1968, avrebbe conquistato il centro della scena come compositore, arrangiatore e direttore.

In testa alle classifiche per 53 volte
Carriera che può essere misurata in numeri, la sua, come accade soltanto ai più grandi: 23 singoli al primo posto nella classifica americana, 30 in quella britannica, una nomination all'Oscar (per la colonna sonora di «A Hard Day's Night»), 37 settimane di permanenza in testa alle charts del Regno Unito per i suoi dischi nel solo 1963, l'onoreficienza di baronetto che arriva un anno dopo quella dei Fab. Una carriera che andò anche oltre i Beatles: tra le altre cose, con Paul sarebbe stato autore della colonna sonora di «Agente 007 - Vivi e lascia morire», con Elton John nel 1997 riarrangerà «Candle in the wind» - pezzo originariamente scritto alla memoria di Marilyn Monroe - per salutare la scomparsa di Lady Diana. Brano che, sull'onda emotiva, diventa presto il secondo singolo più venduto della storia, «probabilmente il mio ultimo singolo», commenterà sir George. Anche restare così lucidi da comprendere quando è arrivato il momento di lasciare la scena è un miracolo.

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