Cultura

L’immaginazione in laboratorio

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scienza e filosofia

L’immaginazione in laboratorio

Tra il 2 e il 3 dicembre del 1984 a Bhopal, in India, si consumò quello che ancora oggi è ritenuto il più grave disastro chimico della storia. Una fuga di sostanze tossiche da un impianto della Union Carbide che produceva pesticidi procurò la morte di almeno 3.800 persone. Decine di migliaia furono gli individui intossicati in maniera non letale, con danni in parte permanenti e che si ripercossero sulle generazioni successive. La nuvola tossica conteneva una serie variegata di sostanze nocive. Agli scienziati erano noti gli effetti sulla salute umana di ciascuna di esse. Ma solo alle vittime era conosciuto l’effetto congiunto di tali sostanze. Ci sono competenze e prospettive sulla realtà che difficilmente sono rappresentate in laboratorio. Non solo per eventuali limiti tecnici: ma perché le domande che si pongono gli scienziati e quelle che si presentano alla mente dei cittadini sulla base delle loro conoscenze ed esperienze sono diverse.

A citare il caso di Bhopal è il saggio Technologies of humility: citizen participation in governing science di Sheila Jasanoff (2003), che lo prende in esame, e l’esperto di comunicazione della scienza Andrea Bandelli. Dal 1° maggio Bandelli assumerà la carica di ceo di Science Gallery International, la società nata tre anni fa con il compito di internazionalizzare la Science Gallery di Dublino. Questo esempio spiega infatti in maniera molto chiara uno dei pilastri concettuali della Science Gallery: dallo scambio con il pubblico gli scienziati possono imparare.

Situata strategicamente all’interno del Trinity College, eccellenza scientifica della capitale irlandese di cui è formalmente un dipartimento, e in un’area in cui convivono le sedi di Google e di Facebook, la Science Gallery si pone come «membrana tra la città e il sapere accademico». Simbolo fisico ne è il caffè con il lungo tavolo dove si mescolano e interagiscono cittadini, scienziati, hacker, e che complementa gli spazi dedicati alle mostre, ai workshop e alle conferenze. In otto anni di attività, sotto la supervisione dei 25 del Leonardo Group, comitato scientifico interdisciplinare, la Science Gallery è emersa nella geografia dei centri scienza come un caso di successo, arrivando a coinvolgere 400mila persone nel 2015. Soprattutto la Science Gallery si è affermata come un nuovo modello: «Il museo si fonda sulle collezioni e sull’oggetto fisico per riflettere sul presente; lo science center sull’interazione con le macchine (gli exhibits), in cui la scienza è decontestualizzata e l’attenzione puntata sui fenomeni. La Science Gallery, invece - spiega Bandelli -, è fondata sull’interazione tra le persone, sollecitate a confrontarsi sulle idee: ha un approccio speculativo, crea visioni sul futuro».

Niente collezioni, niente strutture permanenti. Invece bandi aperti su un tema specifico. La call è definita da un team di curatori ogni volta diverso, che ha quindi la responsabilità di selezionare una ventina di opere. In particolare Science Gallery cerca progetti che vedano la collaborazione tra artisti e scienziati, con l’obiettivo di «connettere, far participare, sorprendere». Oltre alle mostre, “Lab in the Gallery” declina il tema in una serie di esperimenti con la partecipazione del pubblico, mentre il “Community Lab” propone workshop con scienziati, artisti o hacker.

«Punto di collisione tra arte e scienza», sintetizza Andrea Bandelli, triestino da vent’anni in Olanda, economista di formazione, esperienze di comunicazione della scienza negli Stati Uniti, Europa e Sud Africa, un dottorato sulla partecipazione del pubblico nei musei e negli science centers, e autore tra l’altro di un bel volume dedicato all’esperienza di Studiolab, progetto triennale europeo su scienza e arte (Studiolab: what has been learned, edito da Science Gallery e Trinity College, pagg. 144). Obiettivo della Science Gallery, sbrigliare l’immaginazione per generare sapere nuovo a livello di conoscenza diffusa, di conoscenza scientifica e di competenza imprenditoriale, in una collaborazione tra le tre sfere tanto stretta quanto fin qui inedita.

Sono ormai oltre 25 gli articoli pubblicati basati su esperimenti svolti con il pubblico; l’ultimo, sulla percezione del rischio, è appena apparso su «Nature». «Portando il pubblico là dove la scienza si fa, si incide in maniera strutturale sulla scienza: cambia il modo di fare ricerca», precisa Bandelli. Altro beneficio per gli scienziati, imparare a comunicare: «Non bastano le comuni tecniche di analisi e visualizzazione: lo storytelling della ricerca è indispensabile per influenzare le decisioni pubbliche».

Ai partner tecnologici (Google in primis, che ha donato un milione di euro per l’avvio di Science Gallery International, e un mese fa ha annunciato il finanziamento dei viaggi delle classi di tutta Irlanda che vogliano visitare il centro di Dublino) la Science Gallery si offre come un prezioso osservatorio sui giovani adulti e le loro attitudini rispetto ai temi contemporanei. Science Gallery si è infatti distinta per aver spostato l’attenzione dai bambini, tipico target dell’attività didattica di musei e science centers, sui 15-25enni. Il centro opera inoltre come incubatore di startup: a partire da una mostra dedicata alla biologia sintetica alcuni studenti hanno ad esempio inventato e commercializzato un sistema di illuminazione per le vetrine dei negozi.

Oggi Science Gallery è già attiva anche a Londra, con il King’s College: la partecipazione di un’istituzione accademica è parte strutturale del modello. La sede deve essere ancora inaugurata, sorgerà ai piedi del grattacielo Shard di Renzo Piano, ma le attività sono iniziate già lo scorso anno. Nel 2018 apriranno a Melbourne e Bangalore. «Trattiamo temi globali, creare una rete globale è indispensabile», spiega Bandelli. L’11 marzo si è aperta ad esempio a Dublino «Field Test. Radical adventures in future farming», che ha beneficiato di uno scambio con il Kenya. «Abbiamo molto da imparare: anche a livello di pubblico. I giovani del Sud del mondo sono molto più ottimisti e motivati di quelli occidentali».

Internazionalizzazione non vorrà dire, anticipa Bandelli, solo creare nuove Science Galleries, idealmente almeno una per continente, ma moltiplicare le collaborazioni con i musei della scienza, i centri d’arte, gli science centers. Bandelli prevede anche un forte sviluppo degli strumenti digitali, per favorire una più ampia partecipazione e il potenziamento del network. A questo si aggiunge l’intenzione di rafforzare il collegamento con i policy makers.

In Italia si è candidata a far parte del network Ca’ Foscari a Venezia. Un luogo eccellente per la presenza qualificata del mondo dell’arte contemporanea, anche se nell’insieme l’ipotesi appare a un qualunque osservatore atipica, considerato il ranking mediocre di queste facoltà scientifiche rispetto alla media di Science Gallery, e il fatto che il modello preveda un forte radicamento territoriale (il 40% delle persone torna più volte a visitare il centro), cosa che purtroppo la scarsa popolazione residente a Venezia non può garantire.

Non mancano comunque realtà italiane cui guardare per possibili collaborazioni. Come la Città della scienza di Napoli (che ha appena inaugurato lo spazio “Corporea”) o il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano. Che il progetto di Venezia vada in porto o meno, Science Gallery è innanzitutto un modello, da cui chiunque può trarre ispirazione.

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