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Ridere per le rime

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Ridere per le rime

Senza alcun dubbio il riconoscimento più prestigioso, se non quello più credibile, a La satira in versi. Storia di un genere letterario europeo (Carocci 2015) è stato tributato dal premio Forte dei Marmi per la satira politica: in occasione dell’ultima edizione, infatti, al volume curato da Giancarlo Alfano è stato assegnato il «Premio speciale Pino Zac». Nella motivazione si legge che autori e curatore hanno raccolto in questo saggio «la storia di un genere letterario europeo lungo duemila anni di storia, dimostrando come la satira per qualità e quantità di esperienze significative occupi un ruolo fondamentale nello spazio poetico e nell’organizzazione sociale di ogni epoca e di ogni lingua e letteratura».

Sia lode, dunque, alla sagace giuria del premio, che ha voluto trascinare gli studi letterati in territori che non sono loro consueti (per giunta con un premio intitolato all’autore di una memorabile trasposizione a fumetti del Furioso); ma altresì a chi La satira in versi lo ha scritto e messo insieme, se non altro per aver ribadito, una volta di più, che la satira è una cosa seria. Il suo campo letterario, del resto -lo spiega bene il curatore nelle dense pagine introduttive- è presidiato dal soggetto che prende la parola e che re-agisce ai pervertimenti del presente, rispetto a un passato idealizzato o a una più astratta armonia perduta, facendo oscillare le istanze della comunicazione satirica tra ritorno all’ordine e minaccia all’equilibrio sociale.

Ma i meriti attribuibili alla raccolta diretta da Alfano sono più d’uno. Di sicuro lo è l’omogeneità e la coerenza d’insieme dei contributi: il libro illustra in maniera pressoché esaustiva la lunghissima durata di un genere letterario, dalla sua fondazione latina modellizzante (descritta nel saggio di Cristina Pepe a partire dagli archetipi classici di Orazio e Giovenale, fondatori di due paradigmi alternativi che si affiancheranno e si incroceranno lungo diciotto secoli di storia letteraria, se non oltre) fino alla poesia satirica degli anni Sessanta del Novecento (ne dà conto Bernardo De Luca), arrivando alla sua ripresa nella canzone rock e pop angloamericana e italiana (ricapitolata da Emiliano Picchiorri e Paolo Squillacioti).

La prospettiva, inoltre, si allarga ad alcuni snodi imprescindibili dello sviluppo del genere nelle letterature europee: il Medioevo romanzo (Vittorio Celotto), le forme e i modelli della poesia satirica del Siglo de Oro (Maria D’Agostino), il Settecento inglese e francese (Riccardo Donati), l’Ottocento tedesco di Heine e Busch (Arianna Marelli).

Se alcune tappe di questo percorso, che abbraccia davvero l’intera tradizione letteraria occidentale, possono apparire, più che scontate, irrinunciabili, nondimeno dalle stesse si dipartono svariati itinerari innovativi: il contributo di Patrizia Gasparini sul grande Cinquecento italiano, registrando la formalizzazione normativa del genere sul modello Ariostesco, ne rivela altresì la tramatura problematica, riflessa dalla crisi della società rinascimentale; come del resto quello di Giancarlo Abbiamonte, che restituisce un’idea di Umanesimo latino quale grande laboratorio in cui vengono incubati i modelli del classicismo europeo e in cui il primato di Giovenale viene insidiato dalla riscoperta di un Orazio traghettatore appunto verso l’equilibrio formale e tematico della letteratura del Rinascimento.

Sicuramente, invece, non era così scontato ripensare al Dante della Commedia come a un autore satirico, anzi come al «principe satirico dell’Arno»: in questa guisa lo leggevano molti commentatori del trecento, non senza fondate ragioni teoriche, come argomenta Andrea Mazzucchi. Un barocco mosso, controverso, oltraggioso è altresì quello delle satire di Salvator Rosa, il più significativo degli autori presi in esame da Pietro Giulio Riga; come a tratti assai originale si rivela la rivisitazione dei modelli classici nei Sermoni di Gasparo Gozzi (il sermone è, sin dalle origini, una delle forme consuete del genere) o nella traduzione delle Satire di Persio ad opera di Vincenzo Monti, sebbene né Monti né Gozzi insidino, nel secolo, il primato di Giuseppe Parini (autrice del contributo sul Settecento è Alessandra di Ricco). Sorprendentemente vario è il quadro che Marco Viscardi traccia del periodo che va dall’età napoleonica alla fine del Diciannovesimo secolo: raccolto il testimone da un Alfieri a suo modo continuatore di Parini, Leopardi, da una analoga posizione di volontario isolamento, declina le forme satiriche coerentemente con la sua vasta e mirabile riflessione sul riso («Chi ha coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire»); Giusti restituisce loro, finalmente, un’«appassionata socialità»; Carducci (in Giambi ed epodi) ne sussume i modi adattandoli, con esiti talvolta interessanti, alla sua magniloquenza cattedratica.

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