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Lo scrittore fuori sede

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Lo scrittore fuori sede

  • –Filippo La Porta

Leggendo La letteratura nel mondo. Nuove prospettive (a cura di Luigi Bonaffini e Joseph Perricone ho provato un senso di frustrazione. Già mi sento largamente inadempiente - nella mia attività di critico “militante” - verso la narrativa italiana contemporanea, che ha ormai assunto dimensioni pletoriche (ogni giorno escono oltre venti titoli…). Ma ora scopro, da questo documentatissimo volume (atti di un recente convegno internazionale a Orvieto) che fuori d’Italia esiste un’altra Italia - dispersa, un po’ nascosta - che ha più o meno gli stessi abitanti (si tratta di emigrati e italodiscendenti), e che naturalmente scrive tantissimo! Seguire anche solo decentemente la sua sterminata produzione è un’impresa che va oltre l’umano: occorrerebbe un software assai sofisticato della critica…Ma proviamo a fare alcune riflessioni generali soffermandoci solo su alcuni dei contributi qui raccolti.

La Grande Migrazione degli ultimi decenni ci obbliga a ridefinire non solo i concetti di identità, nazione e cittadinanza - identità multipla e meticcia, cittadinanza doppia e tripla, transnazionalità - ma anche il canone letterario. In particolare Martino Marazzi polemizza con una storiografia antiquata, orientata in senso storicistico e angustamente nazionale, e invita gli studiosi a raccogliere la sfida dell’emigrazione, di una diaspora culturale fatta non di percorsi lineari ma di faglie, scarti, fratture. Ricostruendo poi la vicenda della rima «fratelli/ribelli», da Giovanni Tosti (per le Cinque Giornate di Milano) a Pascoli e a testi anarchici dell’emigrazione, ritrova un immaginario condiviso e transnazionale. Anche Sebastiano Martelli ragionando su tre film non realizzati ripercorre il fil rouge dell’anarchia dentro l’emigrazione oltreoceano, seguendo una sceneggiatura scritta da Pratolini e Fernando Birri. E qui interviene una considerazione che potrebbe limitare quel senso di frustrazione cui accennavo. Osserva Perricone che la esperienza italiana dell’emigrazione - la nostra grande epopea collettiva postrisorgimentale - stranamente non ha prodotto capolavori letterari ma solo pagine sparse (Sull’oceano di De Amicis, qualcosa in Verga, Capuana, Pirandello…). E così anche le migrazioni recenti - da e verso il nostro paese - hanno alimentato una letteratura ricca di potenzialità però ancora incerta, frammentata, qualitativamente non del tutto risolta. È vero che oggi «una mentalità disposta a concepire l’esistenza di soggettività umane non più radicate in una sola lingua, cultura, milieu nazionale»(Franca Sinopoli) schiude nuovi orizzonti letterari. Ma questo sommovimento tellurico della geopolitica risulta forse più interessante da un punto di vista antropologico che davvero persuasivo sul piano dei risultati formali. Alla superfetazione teorica di una saggistica che indugia volentieri su attraversamenti, crocevia, translinguismi, non sembra corrispondere una produzione letteraria altrettanto rilevante. Anche se, aggiungo prudentemente, ciò potrebbe dipendere a un nostro limite di informazione: dopo la preziosa antologia bilingue di poesia italiana nel mondo - Poets of Italian Diaspora - di Bonaffini e Perricone, attendiamo con ansia quella della prosa.

L’intero volume, che offre testimonianze linguistiche personali da vari paesi e un resoconto sulla attuale promozione dell’italofonia, ruota intorno alla questione ontologica del migrare, inteso come «componente profonda della psiche», metafora della condizione umana - sempre esposta al cambiamento - e del suo mix di timore dell’ignoto e senso di libertà(Peter Carravetta). Si migra per molte ragioni - calamità naturali, guerre, disoccupazione, invasioni, situazioni di oppressione, drammi famigliari, ricerca della fortuna - ma da queste pagine traspare l’idea di un destino «migrante» proprio dell’esistenza stessa. Siamo tutti «pellegrini» (Virgilio alle anime appena sbarcate sul Purgatorio: «voi credete forse che siamo esperti d’esto loco; /ma noi siam peregrini come voi siete»). A questa conclusione giungono studiosi come Iain Chambers e Edward Said, celebrando lo spaesamento, il transito, l’esilio (le chance che sempre implicano), l’«esperienza nomade del linguaggio», e invitando la ragione occidentale a ripensare le proprie fondamenta.

Tutto giusto. Una sola obiezione: se ci consideriamo perpetuamente «fuori casa» e «senza fissa dimora», in transito continuo tra idiomi e culture, non potremo nemmeno «ospitare» nessuno. E allora la nostra casa ce la dobbiamo invece custodire con impegno - benché leggera, portatile - fatta non di radici immutabili ma di memorie, affetti, esperienze e percorsi personali, razionalità condivisa, idee e fedi vissute, luoghi abitati e luoghi sognati, e soprattutto di un «radicamento» che ogni volta l’individuo si sceglie. In questo senso può tornare utile il concetto di «italico»(Piero Bassetti), a indicare una tradizione culturale e linguistica cui si decide - liberamente - , di appartenere, e che non coincide più in modo esclusivo con un territorio e una nazione.

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La letteratura nel mondo. Nuove prospettive , a cura di Luigi Bonaffini e Joseph Perricone, Cosmo Iannone Editore, Isernia, pagg.278, € 20