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Noi mangiatori di bambini

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letteratura

Noi mangiatori di bambini

Il romanzo di Mo Yan Il paese dell’alcol (recensito a fianco) ha come perno e partenza l’inchiesta dell’ispettore Ding Gou’er su alcuni ristoranti di qualità che hanno nel loro menù la tenera carne di neonati della specie umana. Anni fa ci colpì molto il racconto di Acheng, un altro scrittore cinese, su una carestia (provocata, si lasciava intuire, dalla politica maoista) in cui, per sopravvivere, c’era chi era costretto a mangiare cadaveri. Un saggio importante di uno storico italiano, Andrea Graziosi, ci aveva rivelato ancora prima come nelle carestie provocate dalla politica stalinista tra i contadini dell’immensa Urss il cannibalismo fosse un rimedio estremo per popolazioni sfiancate dalla fame. Un racconto horror di Stanley Ellin che piaceva molto a Hitchcock e che fu tradotto in Italia da Giovanni Raboni, narrava di un gruppo di sopravvissuti a un disastro aereo costretti a mangiare quelli di loro che man mano soccombevano (una storia che si è ripetuta tante volte nella realtà, prima e dopo la “zattera della Medusa”, che sia stata resa nota da qualcuno o che sia rimasta sconosciuta, in tutti i continenti). Ci avevano preso gusto e si radunavano clandestinamente in un ristorante dove occasionalmente veniva servita solo per loro carne umana, recuperata con qualche difficoltà. Il cannibale più famoso tra quelli immaginari e recenti è stato certamente Hannibal Lecter, una creazione dello scrittore Thomas Harris portata sullo schermo più di una volta (la seconda con un film da oscar, Il silenzio degli innocenti), mentre non si contano i casi reali nella cronaca criminale del Novecento.

È di questi giorni la pubblicazione di una lettera di Voltaire, Gli ebrei mangiavano carne umana? (a cura Antonio Gurrado), sul filo del paradosso ma venata di antisemitismo. E degli articoli scritti nell’ultimo decennio del Novecento da Claude Lévi-Strauss per il quotidiano italiano «la Repubblica», proposti dal Mulino (prima ancora dal Seuil) con il titolo Siamo tutti cannibali. Si tratta di interventi a vasto raggio, tradotti da Roberta Ferrara e introdotti da Marino Niola, che parlano della ostinata presenza di comportamenti umani simili oltre le epoche e le culture, a ricordare di che pasta noi esseri umani siamo tutti fatti, i “civili” come i “selvaggi”, ma la scelta del titolo con cui Lévi-Strauss ha voluto raccoglierli è significativa, tanto provocatoria quanto è efficace. E però il testo più straordinario tra tutti quelli che riguardano il cannibalismo rimane Una modesta proposta per evitare che i figli degli irlandesi indigenti siano di peso ai genitori o al Paese, facendone un beneficio per tutti (Marsilio, con un’ottima introduzione di Luciana Pirè) che l’irlandese Jonathan Swift scrisse nel 1729 per denunciare le condizioni di vita del suo popolo, la sua tremenda miseria. Imitando il linguaggio degli economisti e dei politici, Swift tratta il commercio di carne di neonato come qualcosa di saggio e utile alla nazione e ai suoi abitanti, come un serio contributo alla soluzione della grande miseria irlandese. Sono la precisione teorico-pratica e la serietà assoluta del linguaggio a impressionare ancora oggi, e a sollecitare riflessioni ulteriori, allargando la sua provocazione al mondo di oggi, alle sue collettive tragedie. Per Swift sono i ricchi, causa del male, a poterne infine godere: «una pietanza del genere sarà un po’ costosa, lo concedo, e proprio per questo alla portata dei proprietari terrieri i quali, dopo aver già spolpato quasi del tutto i genitori, sembrano a giusto titolo aver acquisito altrettanti titoli sui figli».

Certamente nel mondo ci sono aree di miseria in cui uno scrittore o un cittadino di oggi, africano o latino-americano, asiatico o mediorientale, potrebbe scrivere qualcosa di simile a questo pamphlet per svegliare le coscienze e sollecitare risposte, ma è anche legittimo allargare la Proposta swiftiana ad altri campi dell’economia e ad altre tragedie dell’infanzia. Si possono “mangiare bambini” in tanti altri modi che quello gastronomico indicato da Swift, li si può “mangiare” metaforicamente usandoli come “carne da macello” nelle guerre fin dalla pubertà e nell’adolescenza – e succede, guarda caso, nei paesi più poveri e più prolifici, dove i bambini sono tanti e si può tranquillamente sacrificarli al bene della nazione o della tribù; di Swift si è forse ricordato anche Ahmadou Kourouma quando scrisse su questo argomento Allah non è mica obbligato –, si può “mangiarli” costringendoli alle prestazioni più basse, sfruttandoli come produttori di ricchezza attraverso il lavoro minorile e il commercio sessuale, si può “mangiarli” perfino – è successo e in certa parte continua a succedere, dicono alcune organizzazioni internazionali, come fornitori di organi in chirurgia. Eccetera… la capacità dell’uomo di inventare modi sempre nuovi per nuocere ai propri simili e perfino ai propri figli è davvero sorprendente, infinita. Ma si può “mangiarli” – metaforicamente ma non troppo – nel mondo meno povero, nel nostro, mettendoli all’ingrasso di merci contraffatte, di cose superflue o dannose, materiali o spirituali. Si può “mangiarli” come fanno milioni di genitori, e forse nel nostro paese più che altrove, non rispettando la loro individualità, le loro migliori potenzialità, rendendoli schiavi della nostra idea della società e del futuro – mai così incerta e di conseguenza mai così autodifensiva e prepotente come oggi. Si immagina uno scrittore con il solido senso dell’humour di un Flaiano e con l’indignazione morale di un don Milani che scriva in questo tempo e in questo paese una “modesta” e paradossale proposta su come usare l’infanzia, portata alle sue estreme conseguenze e svelante del nostro rapporto con l’infanzia il latente sadismo e le ipocrisie culturali. «Siamo tutti cannibali», dice Lévi-Strauss, ma lo siamo in modi diversi, ghiotti, coscientemente o meno, di giovani prede, sia quelli che divorano i corpi che quelli, ben più numerosi, che divorano le coscienze – se vogliamo, le anime – dei più indifesi.

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