Nei tempi bui del terrorismo internazionale una risposta potrebbe arrivare dalla «diplomazia umanitaria e femminista», che metta al centro delle relazioni tra gli Stati il rispetto dei diritti delle donne. E che si basi su quelle che da sempre sono considerate prerogative femminili: dialogo, saggezza e spirito di sacrificio. Ne è convinta l’imprenditrice Paola Diana, veneta di nascita e romana d’adozione, fresca autrice del libro “La salvezza del mondo” (Castelvecchi Editore), in cui difende il sapere e il lavoro delle donne come fattore chiave di crescita e sviluppo.
Il caso Wallström
Il modello di questa nuova diplomazia unitaria e femminista? La ministra svedese Margot Wallström, che a febbraio 2015 ha osato definire «medievali» le condizioni delle donne in Arabia Saudita, scatenando la reazione dei sauditi, che hanno richiamato il loro ambasciatore. Nessun altro Paese è intervenuto in difesa di Stoccolma, lasciata da sola a gestire la crisi diplomatica. Che cosa sarebbe accaduto se invece l’Unione europea, gli Usa, il Canada, la Russia, la Cina e il Giappone avessero sostenuto la Svezia chiarendo che non esistono giustificazioni religiose alla sottomissione femminile?
Diritti delle donne: diritti umani inalienabili
La tesi di Diana, anche alla luce degli ultimi attentati nel cuore dell’Europa, è che il terrorismo sia il frutto di una cultura maschilista profondamente radicata in molte società, imbevuta di aggressività e sopraffazioni. «Da secoli – fa notare l’imprenditrice, presidente dell’associazione PariMerito – il potere politico e diplomatico è nelle mani degli uomini. La cultura maschile scandisce tempi e modi della nostra società e liberare le donne da questa schiavitù silenziosa è in fondo alla lista delle priorità, come i loro bisogni». Da qui l’esigenza di una diplomazia diversa, fondata sul principio che i diritti delle donne sono diritti umani inalienabili che non possono essere negati né per religione né per cultura né per tradizione.
Vincolare aiuti al rispetto dei diritti
Una battaglia di civiltà di cui, per Diana, l’Europa dovrebbe farsi portatrice. Non a parole. Il presupposto concreto dovrebbe essere quello di vincolare gli aiuti economici ai Paesi al rispetto dei diritti delle donne. E poi quello di sostenere le associazioni che combattono per la democrazia e la salvaguardia dei diritti umani negli Stati in via di sviluppo. «È un approccio semplice, pragmatico ed efficace», scrive l’autrice nel libro. «Migliaia di donne, ogni giorno, si battono senza mezzi e senza voce per migliorare le società in cui vivono. Aiutandole, velocizzeremmo i processi interni di democratizzazione di quei Paesi». Se decine di Stati si muovessero in questa direzione, sostiene Diana, potrebbero cambiare il mondo. E salvarlo. Perché «la condizione femminile è il termometro sociale e politico di una nazione. Più una donna ha diritti e libertà più quel sistema si avvicina a una democrazia perfetta. Più soprusi e discriminazioni le donne subiscono, più la politica nazionale assume tratti di autoritarismo e corruzione».
Il lavoro femminile come liberazione
Il libro esplora tante dimensioni, dal confine tra religione e fanatismo al lavoro femminile come liberazione, antidoto agli squilibri che avvelenano le società. Riporta in calce la proposta di legge per introdurre in Italia il “Bonus Care”, cui Diana si dedica da tempo: una detrazione annua dell’80% delle spese sostenute per contratti di lavoro a colf, baby sitter e badanti da parte di donne lavoratrici, dipendenti o autonome. Per aiutare a schiodare l’Italia da quel tasso di occupazione femminile fermo al 47,5%, così lontanto dal 60% previsto dal Trattato di Lisbona.
Ora tocca agli uomini
Il femminismo difeso dall’imprenditrice in tutto il volume è sinonimo di libertà e uguaglianza, e come tale può essere appannaggio anche degli uomini. Non è un caso che l’uscita del libro sia stata accompagnata da una campagna social con l’hashtag #iosonofemminista il cui cuore è un video di tanti uomini che, sulla scia del premier canadese Justin Trudeau, si dichiarano orgogliosamente femministi. Tra loro il sociologo Domenico De Masi, il celebrity chef italo-canadese David Rocco, l’esperto di innovazione Edoardo Colombo e il dirigente televisivo David Bogi. Prossima battaglia? «Quella con la Rai - dice Diana - per avere pari rappresentanza di genere nei talk show e quella con le aziende perché adottino un codice etico per i convegni e inizino a chiamare pari relatrici donne. In Italia la situazione della visibilità per le donne è drammatica».
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