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Gianmaria Testa, chansonnier poeta, «se n'è andato senza…

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Gianmaria Testa, chansonnier poeta, «se n'è andato senza far rumore»

Gianmaria Testa (Italyphotopress)
Gianmaria Testa (Italyphotopress)

«Gianmaria se n'è andato senza fare rumore. Restano le sue canzoni, le sue parole. Resta il suo essere stato uomo dritto, padre, figlio, marito, fratello, amico». A tutti, prima o poi, tocca andarsene, ma solo i più grandi riescono a farlo con lucidità, semplicità, pudore, in una parola coerenza. Verso se stessi, la propria arte e le persone che la hanno amata. Gianmaria Testa, cantautore-ferroviere innamorato degli ultimi, scomparso oggi a 57 anni, appartiene senza dubbio a questa razza: non una virgola di troppo nelle due righe e mezza che sul suo profilo Facebook hanno dato l'annuncio della morte, al termine di una grave malattia da lui stesso rivelata un anno fa. Più che un epitaffio, una dichiarazione di poetica.

E non poteva essere altrimenti, perché qui si parla di un personaggio che ha fatto dell'autenticità la propria cifra stilistica e, come spesso accade nell'Italia distratta dai troppi fenomeni da baraccone di un provincialissimo show-biz, ha fatalmente trovato fortuna prima all'estero che in patria. Cuneese di Cavallermaggiore, classe 1958, Testa era di origini contadine. Scoprì presto la chitarra ma, con il pragmatismo tipico della sua gente, cominciò a lavorare come ferroviere, fino a ritrovarsi capostazione allo scalo principale del capoluogo. Salvo accorgersi che della musica e di un certo modo di raccontare la vita, appreso dai dischi della «trinità» degli chansonnier francesi, composta da George Brassens, Jacques Brel e Leo Ferré, proprio non poteva fare a meno: dopo aver vinto il Festival musicale di Recanati dedicato ai nuovi talenti della canzone d'autore nel 1993 e 1994, incontra Nicole Courtois, produttrice francese che ne comprende la forza espressiva. Il debutto del 1995 è allora transalpino, s'intitola «Montgolfiers» ed esce per Label Bleu. Un anno più tardi la sua seconda fatica «Extra-Muros» ha addirittura l'onore di inaugurare le incisioni della nuova etichetta della Warner Music Francese, Tot ou Tard.

Va a finire che si esibisce all'Olympia di Parigi e allora anche in Italia ci si deve accorgere di lui, con colpevole ritardo. Una lunga serie di concerti in tutto il mondo prepareranno le strade al suo ritorno in studio, nel febbraio del 1999, con «Lampo», album realizzato con la collaborazione di numerosi musicisti: da Glenn Ferris al trombone a Vincent Segal al violoncello, da Riccardo Tesi all'organetto fino a Rita Marcotulli al pianoforte, per la direzione di David Lewis. Progetto che avrà la sua definitiva coronazione con il tutto esaurito del 2000 al Teatro Valle di Roma. Nel 2002 inaugura Umbria Jazz e l'anno dopo c'è un'altra esperienza importante: lo spettacolo «Attraverso», in bilico tra parola scritta e cantata, realizzato al Festival della Letteratura di Mantova con Erri De Luca, Marco Paolini, Mario Brunello, Gabriele Mirabassi. Di quattro anni dopo è invece «Da questa parte del mare», Targa Tenco 2007 come miglior album dell'anno. Risale al 17 ottobre 2011, giorno del suo compleanno, l'ultimo lavoro discografico di inediti «Vitamia», sorta di bilancio di vita personale e sociale che rappresenta la naturale evoluzione dello spettacolo teatrale «18mila giorni - Il pitone» in collaborazione con Giuseppe Battiston. A maggio dell'anno scorso l'annuncio del ritiro dalle scene: «Ho un tumore, non è operabile. I medici mi hanno detto che nei prossimi mesi devo annullare ogni altro impegno che non sia curarmi». Un addio sofferto ma necessario, come fosse il testo di una sua canzone. Ci resta il rammarico di quanto avrebbe potuto ancora darci.

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