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Così è nato il timor di Dio

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scienza e filosofia

Così è nato il timor di Dio

Chi non sa cos’è il «timor di Dio»? Dio, chiunque esso sia, vede tutto, giudica tutto e punisce ogni male. La grande maggioranza delle religioni professate ai nostri giorni si basa proprio su quest’idea. Eppure non è sempre stato così. Per molto tempo i nostri progenitori hanno creduto in divinità che non si occupavano direttamente delle vicende umane né, tantomeno, le giudicavano e sanzionavano. Secondo la testimonianza di Plinio il giovane, ad esempio, al momento dell’eruzione del Vesuvio i pompeiani credevano che gli Dei avessero lasciato il mondo, abbandonandoli al loro tragico destino. È solo in tempi relativamente recenti che si sono sviluppate le credenze in quelli che lo psicologo canadese Ara Narenzayan definisce «Grandi Dei» (Grandi dei. Come la religione ha trasformato la nostra vita di gruppo, Cortina, 2014), cioè divinità che sorvegliano la nostra vita quotidiana e la regolano con promesse e minacce che si concretizzeranno nella vita ultraterrena.

Da dove vengono queste divinità che sembrano oggi coincidere con l’idea stessa che abbiamo di religione? Secondo molti antropologi e psicologi, le dottrine e religioni morali si sono sviluppate in una fase recente dello sviluppo culturale umano, svolgendo un’importante funzione sociale: favorire la cooperazione e la coesione all’interno dei gruppi. Nelle piccole tribù dei nostri antenati cacciatori-raccoglitori i legami di parentela e la conoscenza diretta tra gli individui erano probabilmente sufficienti a mantenere la cooperazione. Ma con l’avvento dell’agricoltura gli esseri umani si organizzarono in vaste e anonime società in cui era più facile comportarsi in modo non cooperativo. È proprio in queste società che le divinità morali avrebbero fatto la loro comparsa, per una evidente funzione sociale: gli individui che credono in divinità che sorvegliano e puniscono il male tenderanno a non danneggiare gli altri, anche quando non c’è nessun sorvegliante umano che li osserva. Questa tesi è stata recentemente confermata da una ricerca cui ha partecipato lo stesso Narenzayan pubblicata qualche settimana fa sulla rivista Nature.

Gli autori hanno intervistato e sottoposto a dei semplici giochi di tipo economico 591 persone di otto differenti comunità di varie regioni del mondo (dalla Siberia alla Tanzania) che appartenevano a differenti religioni, tra le quali l’induismo, il buddismo e il cristianesimo, e che si riconoscevano in credenze locali quali l’animismo e il culto dei morti. I giochi economici richiedevano ai partecipanti di allocare delle risorse (delle monete) a se stessi oppure ad altri individui credenti che potevano appartenere alla loro stessa comunità locale oppure a estranei che appartenevano a una comunità molto distante. I partecipanti al gioco dovevano, almeno in teoria, distribuire le risorse in modo casuale, sulla base del lancio di un dado. Tuttavia, poiché ciascun giocatore operava la sua scelta in privato aveva la possibilità di ignorare l’esito del lancio del dado e destinare più risorse sulla base delle sue preferenze. I partecipanti erano più propensi a giocare secondo le regole, e concedere quindi più monete ad altri individui credenti ma estranei, appartenenti a comunità più lontane, quando gli dei in cui credevano erano capaci di conoscere i pensieri e i comportamenti delle persone e di punirli per i loro comportamenti illeciti. Insomma, quanto più i partecipanti al gioco credevano in dei che si occupano direttamente dei comportamenti umani, in modo moralistico e punitivo, tanto più erano disposti a destinare risorse a estranei che condividevano la loro stessa fede religiosa. A determinare il comportamento altruistico sembra essere la paura di una punizione, piuttosto che la fiducia in una ricompensa di origine divina.

Questi risultati sembrano quindi confermare l’idea che lo sviluppo sociale umano è legato a quello delle religioni morali. La direzione della freccia causale però potrebbe andare in un senso opposto a quello sostenuto da Narenzayan e colleghi. Si potrebbe in effetti pensare che all’origine delle religioni morali vi sia lo sviluppo umano e non il contrario. Le divinità morali non sono infatti comparse subito dopo il costituirsi di società umane complesse, per esempio le religioni degli antichi imperi mesopotamici ed egizi ne erano prive. Esse fanno apparizione, quasi contemporaneamente, in tre diverse aree dell’Eurasia in un periodo relativamente breve e recente, compreso tra il V e il III secolo prima della nostra era. In tale periodo emergono dottrine, anche secolari, come il confucianesimo (Cina), lo stoicismo (Mediterraneo orientale) e l’induismo (India). Malgrado le differenze, queste dottrine hanno in comune un principio di base, quello secondo il quale lo scopo della vita umana non è accumulare beni materiali ma vivere all’insegna della moderazione e dell’aiuto agli altri. Lo storico di Stanford Ian Morris ha di recente scoperto che nelle aree geografiche e nel periodo sopra menzionati si manifestò un significativo aumento di indicatori di sviluppo economico come, in particolare, la quantità d’energia ricavata dall’ambiente. Per esempio, a differenza dei gruppi di cacciatori-raccoglitori che estraevano dall’ambiente 4.000 kcal al giorno per persona, e delle società arcaiche come l’antico Egitto che ne estraevano 15.000, le società che hanno dato la luce alle dottrine e divinità morali ne estraevano più di 25.000.

Sotto la guida del giovane psicologo francese Nicolas Baumard, un gruppo di ricerca franco-americano, di cui fa parte lo stesso Morris, qualche mese fa ha ulteriormente corroborato l’ipotesi che l’emergere delle divinità morali sia legato allo sviluppo economico. Baumard e colleghi hanno messo a confronto vari modelli formali e hanno scoperto che quelli basati su indici di avanzamento economico come la quantità di energia estratta dall’ambiente predicono la comparsa e la diffusione delle divinità morali meglio dei modelli basati su indici di complessità socio-demografica.

A questo punto sorge una domanda: stabilito che la crescita economica ha favorito la comparsa delle religioni morali, quali sono i meccanismi attraverso cui la prosperità economica ha permesso il diffondersi dell’ascetismo religioso e secolare? Tra le varie risposte considerate da Baumard e colleghi, la più convincente sembra essere la seguente: vivere in ambienti poveri e ostili porta le persone a focalizzarsi sul presente e le incoraggia a mettere in atto strategie a breve termine nell’interazione con gli altri (ad esempio, applicare la regola occhio per occhio, dente per dente). Viceversa, vivere in ambienti prosperi e sicuri porta le persone a focalizzarsi sul futuro e a mettere in atto strategie più a lungo termine nei confronti degli altri (ad esempio, seguire la regola «non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te»). Insomma, le credenze e le pratiche legate ai principi delle religioni e delle dottrine ascetico-morali sarebbero il riflesso dei cambiamenti nelle motivazioni e negli stili di vita indotti dalla prosperità economica.

Quattrocento anni fa, Galileo accettava l’opinione di un «eminentissimo prelato» secondo la quale «l’intenzione delle Spirito Santo essere d’insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo». Oggi possiamo constatare che per la scienza non valgono i vincoli saggiamente imposti, sin dai tempi di Galileo, dai più illuminati membri della Chiesa al loro stesso magistero. La ricerca scientifica è l’unico strumento che abbiamo per capire come va il cielo, ma è anche l’unico strumento che ci permette di capire i modi in cui, nel corso della loro storia, gli esseri umani hanno pensato di poter andare in cielo.

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